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252 emilio salgari

pracem, adorna d’una testa di tigre, veniva innalzata su quello di poppa.

Sandokan, vedendo l’incrociatore inglese arrestarsi, issare bandiera bianca e calare in mare una scialuppa, aveva ordinato macchina indietro, fermandosi a milleduecento metri dall’avversario.

— Pare che l’inglese non si senta abbastanza forte per misurarsi con noi — aveva detto a Tremal-Naik che lo aveva raggiunto nella torretta.

— Che voglia arrendersi? Non saprei cosa farne di quella nave.

— Le prenderemo le artiglierie e le munizioni, oltre il carbone — rispose l’indiano. — Potranno servire ai nostri amici dayachi di Sarawack.

— Sì, eppure mi spiacerebbe perdere altro tempo — disse la Tigre della Malesia. — Dobbiamo cercare Yanez e Darma.

— Speri di trovarli ancora sullo scoglio? — chiese Tremal-Naik con angoscia.

— Non ne dubito. Io li ho veduti approdare, prima che le tenebre coprissero quell’isolotto. Oh, un capitano nella baleniera! Che venga a offrirci la sua spada? Avrei preferito un combattimento, giacchè sento una smania furiosa di distrugger tutto.

— Tigre della Malesia — disse in quel momento Sambigliong il quale aveva puntato un cannocchiale sulla scialuppa, — è mai possibile? Che io mi inganni o che sia realmente lui! Guardate! Guardate!

— Che cosa hai veduto?

— È lui, vi dico, è lui!

— Chi lui?

— Sir Moreland.

— Moreland! — esclamò Sandokan, prima impallidendo e poi arrossendo, mentre un lampo di speranza gli balenava negli sguardi. — Moreland a bordo di quel legno! Allora Yanez... Darma... Come possono trovarsi su quella nave? È impossibile, ti sei ingannato, Sambigliong.

— No, guardate, ci ha scorti e ci saluta agitando il berretto.

Sandokan si era slanciato fuori dalla torretta.

Un grido di gioia gli sfuggì.

— Sì, è lui, sir Moreland!...

La baleniera, sotto la spinta di dodici remi, s’avanzava rapidissima.