Pagina:Il buon cuore - Anno IX, n. 29 - 16 luglio 1910.pdf/5

Da Wikisource.

IL BUON CUORE 229


tima persuasione, l’interno amore... e umili e fidenti abbandonarci a Dio, perchè completi Lui l’opera cominciata in Lui, per Lui....

Quando si parla così si comunica con le anime e le anime rispondono — si sente — e si sente Dio che opera, che è presente, che benedice e perfeziona l’opera nostra, quell’opera ch’Egli comincia per mezzo nostro, e che ci fa vedere così bene non è opera nostra!

Queste son le ore di commozione profonda, di intensa gioia che dà l’apostolato del bene, del vero....

Ogni sacerdote, ogni genitore, ogni cristiano le dovrebbe sapere! È così?

Il passo evangelico che oggi è proposto alla nostra meditazione è d’una ricchezza inesauribile: soffermiamoci ancora su un altro versetto. Dopo aver narrato della pesca miracolosa noi leggiamo che: Simon Pietro si gettò a’ ginocchi di Gesù, dicendo: Signore, scostati da me, che son uomo peccatore.

Il successo non lo inorgoglisce, lo umilia. L’uomo religioso sa ch’egli non può nulla senza il Signore: ogni riuscita sente presente Dio, e davanti a Lui si umilia, si fà piccino, si annienta!

Oh, noi siamo troppo terreni, troppo pieni di noi per capire l’umiltà prodigiosa dei santi e, quando qualcosa ce ne appare, restiamo come storditi! La luce del cielo è troppo vivida alle nostre pupille erranti sempre per le bassure della terra! Eppure noi siamo cristiani! Scuotiamoci, gettiamo le nostre piccole reti nel nostro piccolo mare, gettiamole nel nome di Dio, e quando un pò di bene ne viene, eleviamoci a Dio, inabissiamoci davanti a Lui.... invochiamo che qualcosa di Lui — che si serve di noi — che ci fa suoi strumenti, resti anche a noi.... Oh, se ogni piccola nostra vittoria buona ci umiliasse e santificasse così! Che lo spirito di Cristo rinnovi anche con noi i prodigi che ha operato negli apostoli, che opera nei Santi!

La Contessa MARIA DAL VERME CORNAGGIA


Improvviso come la folgore ci è giunto l’annuncio della morte repentina della contessa Maria Dal Verme Cornaggia, così espressoci da una distinta amica e collega della defunta nelle opere di carità delle Dame di S. Vincenzo: «Sono indicibilmente impressionata dalla morte della contessa Dal Verme. Fui a vedere quella salma, a pregare per quell’anima santa, che io penso già nella gloria; ma la fulmineità del fatto mi ha come sgomenta».

L’avevamo veduta qualche giorno prima in partenza per il suo luogo di riposo in Merate. Gentile, soave come sempre, ci aveva parlato del problema ognor più difficile della carità che tanto la preoccupava, e ad un nostro complimento sul gran bene che ella faceva tra i poveri, così ci aveva risposto: «Non ho nessun merito del poco che faccio, perchè sono sostenuta da una salute a tutta prova».

Così fu un vero lampo il separarsi della sua bella anima, la quale, benchè trattenuta quaggiù da santi affetti famigliari, istantaneamente si disciolse per rispondere a chiamata divina.

Nobile nel più squisito senso della parola, educata a tutte le finezze della società eletta, gentile con tutti, umile specialmente cogli umili, la contessa Maria Dal Verme suscitava profonde simpatie colla dolcezza innata, colla frase incisiva e insinuante, colla voce armoniosa, che aveva tutta l’espressione di una bontà incomparabile.

Fu madre ai poveri per impulso del cuore, per tradizioni famigliari, e fu pure gentildonna intelligente, che non trascurò mai gli ardui problemi sociali, e si occupò quindi dell’istruzione del popolo, delle opere di culto, di molte istituzioni tendenti a migliorare le condizioni morali e materiali dei lavoratori, nonchè della cosa pubblica, seguendo con fervidi voti l’opera illuminata dell’illustre fratello, il conte Carlo Ottavio Cornaggia, deputato al Parlamento.

I funerali, celebratisi in Merate colla voluta semplicità, riuscirono solenni e commoventi come vero plebiscito d’amore.

Sulla facciata della Chiesa, leggevasi questa sintesi delle virtù che adornavano la cara defunta:

iddio giusto e misericordioso

accolga nell’eterna requie

l’anima cristianamente pia

della contessa

MARIA DAL VERME CORNAGGIA MEDICI

moglie madre esemplare

che alle pratiche devote

associava la beneficenza operosa intelligente

presidente attivissima

delle dame di s. vincenzo

Al Cimitero, il rev. mons. Ermenegildo Pogliani, quale direttore della Società delle Dame di S. Vincenzo, mise in bella luce le doti della defunta con un discorso che qui riassumiamo:

«La morte della contessa Maria Dal Verme per la Società delle Dame di S. Vincenzo non è un lutto, è una sventura. Successa col plauso unanime delle consocie all’egregia contessa Cornaggia, sua ottima madre, era stata della Società una delle confondatrici e l’anima intelligente per lunghi anni, ella coadunava in sè tutte le doti che si richieggono ad un onere di tanta importanza. Prontezza di rilievo, soavità di tratto, facile accondiscendenza, gentilezza squisita col ricco, cordialità materna col povero, generosità di sacrificio e una reverenza profonda al principio di autorità, che da qualche emancipato si sarebbe detta timidezza.

«Non è facile presiedere ad un’accolta di oltre 500 signore, delle quali non poche ricche di censo e di intelligenza, forti di una volontà propria, senza mai destare la più piccola suscettibilità. Accostarsi al povero, anche quando gli si deve dare un rifiuto; rispondere alle esigenze impellenti delle suore, delle visitatrici, trattare con parroci, direttori di istituti e di ricoveri, sempre tranquilla, serena, equanime, in ogni prospera e penosa contingenza; precedere coll’esempio: temprare