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Anno IX. | Sabato, 5 Novembre 1910. | Num. 45. |
Giornale settimanale per le famiglie
IL BUON CUORE
Organo della SOCIETÀ AMICI DEL BENE
Bollettino dell’Associazione Nazionale per la difesa della fanciullezza abbandonata della Provvidenza Materna, della Provvidenza Baliatica e dell'Opera Pia Catena
E il tesor negato al fasto Manzoni — La Risurrezione. |
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La nostra carità dev’essere un continuo beneficare, un beneficar tutti senza limite e senza eccezione.
Rosmini — Opere spirit., pag. 191.
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Direzione ed Amministrazione presso la Tipografia Editrice L. F. COGLIATI, Corso Porta Romana, N. 17.
SOMMARIO:
Educazione ed Istruzione
La morte di E. Dunant
IL FONDATORE DELLA «CROCE ROSSA»
I FERITI DI SOLFERINO.
A tutto questo pensava Enrico Dunant — del quale è stata annunziata ora la morte avvenuta a Heiden sul lago di Costanza — mentre scendeva da Solferino a Castiglione la notte del 24 giugno 1859. Fin dall’adolescenza Enrico Dunant s’era occupato di opere caritatevoli. Nato a Ginevra l’8 maggio 1828, discendente da una famiglia che aveva dati molti probi magistrati alla vecchia repubblica ginevrina, nipote del fisico Daniele Colladon — noto per i suoi studi sulla trasmissione del suono nell’acqua e per l’impiego dell’aria compressa nel traforo delle montagne — Enrico Dunant aveva ricevuto dalla madre, donna nobilissima e intelligentissima, insieme con una accurata educazione letteraria, certi principî di generosità e di bontà che dovevano rimanere indelebili nell’animo suo. D’animo generoso e cavalleresco, entusiasta delle idee umanitarie contenute nel Vangelo, egli aveva già fatta propria la causa dei miseri e degli oppressi. Aveva già pubblicato uno studio sugli schiavi nei paesi musulmani e negli Stati Uniti d’America, i vinti della pace, e s’era fatto fervido campione del pacifismo e della fratellanza universale, quando si trovò per caso — come dicemmo — ad essere testimone oculare della battaglia di Solferino, una delle più sanguinose che la storia moderna ricordi.
L’impressione d’orrore provata durante i combattimenti e nella notte, si rinnovò terribile l’indomani. Dovunque cadaveri, dovunque feriti orribilmente straziati dai proiettili, dalle baionette, stritolati dai cannoni spinti a corsa pazza attraverso ai campi, calpestati dai cavalli. Gli infermieri militari aiutati dai contadini trasportavano i feriti nei villaggi e nei borghi più vicini: Carpenedolo, Castel Goffredo, Medole, Guidizzolo ne riboccavano. A Castiglione era addirittura un inferno; migliaia di feriti s’erano trascinati a piedi a Castiglione o v’erano stati portati dal campo di battaglia con le barelle, coi muli, con le scarse vetture disponibili. L’ingombro era enorme; i feriti s’ammucchiavano dappertutto su strati sottili di paglia nelle Chiese, nelle scuole, nelle case e il personale sanitario mancava.
«LE MONSIEUR BLANC».