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294 il buon cuore
penitenza e con l’amore non abbia ricostruito il monumento abbattuto.

Or bene, ecco tutta la storia della nostra Santa: Una donna che ha demolito sè stessa, ma che tra le macerie cadenti nella distruzione, si incontrava sempre col carbone accesole da Dio nel cuore: il bisogno di lui. Una donna che all’ultimo colpo vide questo carbone diventare fiamma e incendio, che illuminò la via perduta, e in questo incendio si buttò lasciandovi tutto il passato, uscendone rifatta e santa.

Poche anime, io credo, sentirono profondamente come ella sentì le parole d’Agostino: Ci hai fatti per te, o Signore, ed inquieto è il nostro cuore fino a che non riposi in te.

Era fatta per Dio e fu sempre inquieta fino a che non ne ottenne il possesso.

Nasceva nel 1247 in Laviano. Una selva, campagne di grani, le acque del Trasimeno, i monti toscani, furono la cornice della sua culla. Il suo villaggio sedeva nel verde e sospirava verso il cielo con la sua chiesina su il colle che lo domina. In quella chiesina pregò fervente i suoi primi anni. Si conosce di lei il padre Tancredi, buono ma fiacco. La mamma non ci lasciò il suo nome; ci lasciò nella bambina l’irradiazione delle sue virtù. La bambina crebbe gentile, buona, facile a commuoversi davanti al dolore, generosa nelle carità, molto pia. Il fratello Bartolomeo l’amava come la piccola perla tra gli smeraldi di quei prati. La casa sua, non ricca e non povera, una casa colonica co’ suoi agi sufficienti, piena di sole, di odori di fieno, di grano, di sorriso, del nome e del timore di Dio, divise con la Chiesa del paese la fortuna di assistere ai primi suoi slanci di pietà. Ella amava avvinghiarsi al collo della mamma perchè era là dove trovava riposo essendo là più che altrove che ella trovava Iddio. Ma presto ella, si trovò con le braccia allargate e levate in alto senza la mamma che le prendesse e se la stringesse al cuore. Aveva otto anni. La mamma l’avevano portata via per sempre. Allora amò il cimitero e prese aspetto de’ suoi fiori, mesta di già, un po’ pallida, conobbe il pianto e apprese a guardare vagamente per le croci e su in alto il cielo cercando un punto di riposo.

Passarono due anni così. Il padre non la capiva. Era unico suo conforto la Chiesa e qualche vecchia povera cui dava il pane.

A 10 anni vide una donna entrare in casa, occupare tutti i posti della mamma. Ella brillò, provò a dire ancora: mamma; ad allargare e a innalzare ancora le braccia, ma quella non era la mamma; le braccia non furono accolte; ricaddero con un senso infinito di pianto.

La matrigna vedeva in quella figurina gentile un ricordo di quella passata. Anima rozza, cattiva, pensò soffocarne le rimaste bellezze. La fanciulla sentì ogni sfogo del cuore urtare contro di lei, come contro una piastra di ferro; si vide intorno un lago di odio immeritato, ma che doveva affogarla. Capiva che a poco a poco calava a fondo. Non si poteva durar molto così con un cuore come il suo. La casa divenne un tormento; le sue opere di pietà schernite, le sue genti-
lezze giudicate stupidità; il suo cuore rimase senza una vibrazione di contraccambio.

Oh belle sere infantili domestiche, oh preghiere fatte con le mani nelle mani della povera mamma, guardando la campagna! Tutto finito, tutto finito.

Ed ella intanto cresceva. Quattordici, quindici, sedici anni. La vita che in quella età è piena di incanti e di seduzioni, piena di bisogni e di rivolte, di aspirazioni a Dio e di passioni per la terra, trova suo rifugio in Dio e nella famiglia. E’ quella l’età per la giovane, in cui solitamente si formano gli ideali e il cuore dolcemente e appassionatamente vi si inclina, e traverso ai casti sogni dell’anima, vede delinearsi la sua vita futura.

Ella sentiva una vita piena in sè, un ardente bisogno d’amare. Stanca d’essere schiacciata, con una famiglia a cui ormai s’era fatta straniera, incominciò a guardare di fuori e a cercare. Amava veder sola i tramonti. Le nebbie azzurrine della sera le parevano ritratto della sua anima mesta. Si accasciò alquanto nella pietà. Parve che la mamma si fosse ritirata lontana lontana, più che al di là della tomba. A Dio non diede più la punta de’ suoi sospiri; sospirò un terreno amore; lo invocò.

Ah fanciulle, nessune vi ama come Dio e nessuno come Egli può cercarvi un cuore degno su cui appoggiarvi; non distaccatevi dalla sua mano quando cercate la mano di uno sposo; Egli è che vi guida per l’ardua via degli affetti e solamente sarete felici quando il cuore di Dio sarà nel mezzo, tra il vostro e quello che voi amate. Ella invece volle andar sola. Si smarrì.

Vide la prima volta chi cercava, in una festa campestre. Egli le passò l’anima col fuoco del suo sguardo. Tutta la campagna rideva: gli ulivi, gli olmi, la vite, le betule lungo i fossi; l’aria era come una malia: Ecco qui, ecco qui, io sono felice, disse. Aperse l’anima; vi entrò la fisionomia di Arsenio dei Marchesi del Monte, con tutti gli aromi dei campi aprichi; e quando fece per serrarsela dentro, il carbone di Dio la scottò. La mamma le diceva in fondo: sei fatta per Dio! Una lagrima le corse dentro il cuore e parve ritornasse fino a quella pia che parlava così intimo la parola di Dio. Ma Arsenio da quel dì non la perdette un istante di vista. Se ella era ferita, egli ardeva. Ricco, giovane, d’un casato potente in quelle terre, non conosceva rifiuti. Quando la interrogò, ella vide in fondo l’abisso, ma vide dall’altra parte la casa fredda della matrigna, non vide Dio o finse non vederlo; rispose di sì tremando tutta nel sangue e nello spirito.

Un giorno, dal cielo, sua mamma la vide venire agitata dal campo, rossa, vestita bene, ma a capo chino, quasi a sbalzi nel passo.

Era caduta. Aveva appena compiuti i 16 anni!

O mio Dio quale rovina! Ella vide quella sera andarsene via la pace del cuore. Ogni foglia, ogni erba le mandava un rimprovero. Il cimitero, la chiesina, il canto delle compagne di ritorno dal campo, le case, tutta Laviano avvolta nell’aria calda e nel suono dolce delle campane dell’Angelus, le misero l’inferno nel cuore. E un dì le metteva tanta poesia di pace! Si vide quale era diventata. Arse il carbone di Dio.