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58 IL BUON CUORE


a lesso, ad arrosto, in umido, ecc., ecc., nei tanti luoghi dove tenni conferenze sotto aspetti si vari! Che dirò ai milanesi, non mai secondi anche nel soccorrere i nostri emigranti? Comincierò coll’esporre alla buona come nacque l’Opera di Assistenza: la pura e semplice verità. Poi se avrò forza e lena, dirò qualcosa a modo di esortazione.... La vera conferenza non la farò io.... Ho con me il mio violino di spalla, il prof. monsignor Angelo Monti, che mi fu compagno in vari viaggi tra gli emigrati, e vi assicuro che udrete un lavoro degno di Milano e dell’occasione, perchè Monti sa fare dieci volte più di me.

— Modestia vostra, Eccellenza!

— No, no, è così. Mons. Monti è uno studioso ed ha scritto importanti lavori di storia attraverso a profonde osservazioni, considerando il problema dell’emigrazione come uno dei più ardui della vita sociale in tutti i suoi aspetti.... Ma l’ora stringe!


In Sant’Alessandro.

C’innoltriamo nella severa basilica di S. Alessandro che presenta un aspetto insolito. Centinaia di invitati, specialmente signore, accedono dall’entrata di via Zebedia, mentre il popolo accede liberamente dalle porte prospicienti la piazza.

Prendiamo a stento il nostro posto tra una folla signorile, e ammiriamo il vasto, artistico tempio rigurgitante fino alle porte.


Il discorso di Monsignor Bonomelli

L’origine dell’Opera di Assistenza.

Alle ore 16 si presenta sul pulpito Mons. Bonomelli, e la sua apparizione è accolta con un sommesso mormorio di ammirazione.

Egli prende subito la parola e qualifica «imprudenza» l’aver accettato con ottant’anni, in questa stagione, il peso d’un viaggio e di una conferenza. Ma, soggiunge, la conferenza l’ho affidata a un giovane e valente mio collaboratore: io sono qui solo per una breve conversazione famigliare sull’origine dell’Opera.

Ricordo! Una domenica, un pomeriggio di luglio a Cremona. Il domestico mi annuncia la visita di un contadino che dal Brasile era sbarcato a Genova ed era a me venuto direttamente per una missione affidatagli da confratelli italiani assai sventurati nella loro emigrazione. Egli mi si presenta francamente, ma con espressione supplichevole, e chinando la sua testa brizzolata, mi dice: — Vengo a nome de’ miei compagni a chiedere a V. E. un sacerdote, un missionario che venga là dove siamo noi a confortare le nostre famiglie senza alcun conforto, senza assistenza di nessun genere. Io ho promesso di ritornare colà con un nostro sacerdote; ci siamo tutti tassati e siamo pronti a pagare, se occorre; ma se V. E. non potesse assecondare la mia domanda, io al Brasile non tornerei più. — Che fare?... — chiede mons. Bonomelli. — La Provvidenza mi presentava in quei giorni un sacerdote coi requisiti voluti per iniziare una missione in pro degli emigranti, e che accettava il sacrificio e partiva poco dopo alla volta del
Brasile con quel contadino, orgoglioso, felice di poter portare colà tra gli italiani un prete italiano. E quanto bene fece quel prete! Mi capitò poi una contadina che mi parlava di luoghi pieni di serpenti, di inenarrabili melanconie, di profonda nostalgia, di desiderio penoso d’un’eco della patria lontana, delle campane della chiesetta; mi parlava della confusione delle stagioni e di un giorno in cui suo marito, fermandosi ad un tratto pensoso dinanzi all’aratro sulla dura zolla, esclamava: «Ma oggi al nostro paese è Natale!» E quegli sventurati si ritiravano nella capanna e pensavano a rimpatriare.

Ebbi poi dalla Svizzera notizie strazianti. Nulla si era ancor fatto allora per i nostri emigranti, e persone autorevoli mi dicevano: «Se vedesse lo stato degli emigrati italiani! Sono là abbandonati, ludibrio delle genti!»

Monsignore accenna poi all’inizio dell’Opera e ai suggerimenti e agli appoggi di Augusto Conti e di Fedele Lampertico, che sempre ricorda con riconoscenza. Si trovò quasi senza saperlo alla testa d’un’opera nuova, sorella di quella per i Missionari italiani, e subito venne attivato un programma largo, sereno, senza restrizioni, ispirato solo a fratellanza, a carità. Ai consolati, disse, s’incontrarono tosto vive simpatie, perchè vi ha dovunque un terreno sul quale tutti si può essere d’accordo.

L’oratore fece poi una breve ma efficace descrizione delle miserie constatate durante le sue visite nei centri principali d’emigrazione, e commosse parlando d’incontri strazianti, di ricordi, di memorie rievocate con effusione di lacrime.

«Rispetto i miei ottant’anni — concluse Monsignore e cedo la parola al mio compagno, che con me ha veduto quadri impressionanti della nostra emigrazione».


La conferenza di Monsignor Monti.

Monsignor Monti così esordisce:

Quando Monsignor Bonomelli mi chiamò e mi disse: Voi verrete con me a Milano e vi farete una conferenza sull’emigrazione in vece mia — io divenni — dirò con Dante — gelato e fioco, pensando all’ingrata sorpresa, che avrei cagionato nel mio uditorio. Ma dovetti cedere ed eccomi qua. Nessuno — del resto — è colpevole di questa inattesa sostituzione. Monsignore è protetto dalla sua età e dalla lunga opera già data alla causa del bene; io sono difeso dalla mia obbedienza. D’altra parte siamo qui tutti per un’opera di carità; e la carità, come dice S. Paolo, è paziente e benigna. E questo io dico, o Signori, perchè mi sia perdonato l’ardire e conceduta la vostra benevolenza.

L’oratore fa quindi una rapida storia dell’Opera:

Il 19 maggio 1900 un’eletta schiera di signori e signore s’accoglieva, come a una festa, nel palazzo dei marchesi Stanga in Cremona. Il palazzo, che certo aveva aperte chi sa quante volte le sue sale a usi aristocratici, s’apriva questa volta a convegni devoti alla beneficenza. Il geniale cavaliere dello spirito, Antonio Fogazzaro prese la parola. Disse che l’inverno innanzi, a Venezia, s’era tenuta una numerosa assemblea per