Pagina:Il buon cuore - Anno XI, n. 20 - 18 maggio 1912.pdf/5

Da Wikisource.

IL BUON CUORE 157


contro la quale tanti sforzi dei suoi antenati erano stati vani.

Era Gran Maestro di quel tempo Villiers de l’Isle Adam, succeduto al Gran Priore Fabrizio Del Carretto, piemontese.

Villiers de l’Isle Adam, Gran Priore di Francia, si era già distinto in una spedizione contro gli Egiziani ed aveva fama di prode cavaliere. Recatosi nell’isola per assumerne la carica si adoperò subito a rinforzarne le difese e ad aumentarle.

Frattanto il cavaliere Andrea d’Amoral, Gran Priore di Castiglia, che aveva ambita la dignità toccata a Villiers de l’Isle, vedendo delusa la sua speranza, come dice il commendatore Giacomo di Bourbon, nella sua preziosa storia dell’ordine di Malta, risolse di vendicarsi di tutto l’Ordine. Egli inviò a Solimano un piano di Rodi, nel quale erano indicati i punti più deboli delle fortificazioni, quelle non ancora finite di costruire e vi unì un ragguaglio degli uomini e delle navi onde poteva disporre il Gran Maestro.

Nessun dono poteva riuscire più gradito a Solimano di quello inviatogli da questo traditore, perchè l’isola di Rodi era il centro dal quale i cavalieri combattevano da ben 212 anni e ove potevansi unire gli eserciti cristiani per conquistare l’Asia e la Palestina.

Risolutosi di distruggere l’Ordine, Solimano scrisse al Gran Maestro una lettera nella quale gli ordinava di consegnargli l’isola di Rodi e di rendersi a discrezione con tutti i suoi cavalieri. Il sultano minacciava altrimenti di pigliare l’isola e di far passare tutti gli abitanti a fil di spada. Villiers de l’Isle Adam gli rispose con moderazione, ma senza paura e si preparò a sostenere l’urto dell’immenso esercito turco. Innanzi tutto inviò i più influenti cavalieri ad implorare il soccorso dei sovrani cristiani d’Europa; ma Carlo V era troppo occupato a abbassare il potere della Francia per curarsi di un’isola dell’Egeo.

Visto che doveva contare soltanto su se stesso, Villiers de l’Isle Adam provvide senza indugio alla difesa dell’isola cristiana.

Le fortificazioni nell’isola

E da quel giorno nell’isola dei cavalieri cominciò una vita energica e febbrile. Tutti quanti erano atti a lavorare, furono impiegati ad approfondire i fossi, che cingevano le fortificazioni, mentre i muratori riattavano le vecchie fortificazioni e altre nuove ne innalzavano a protezione delle più deboli. Mura e bastioni sorsero come per incanto intorno alla città: mentre un bando richiamava in città tutti quelli che vivevano ne’ campi facendo loro ordine di falciare le messi, abbattere gli alberi fruttiferi, rendere brullo e inospitale tutto ciò che era verde e ridente.

Frattanto altri uomini battevano i dintorni della città radendo al suolo le case e le ville e trasportando in città i materiali di risulto, affinché gl’invasori non avessero potuto profittarne per elevare contrafforti dai quali battere i difensori di Rodi.

Si occupò in seguito il provvido Gran Maestro di provvedere di armi e di viveri tutta la popolazione, e
all’uopo delle galee salparono le ancore drizzando le prue verso i porti delle Due Sicilie, donde ritornarono cariche di grano; altre navi correndo lungo le isole dell’arcipelago raccolsero vino; mentre dall’isola di Candia giungevano cinquecento valorosi soldati di fanteria, e un abilissimo ingegnere bresciano, già ai servizi della Repubblica di Venezia, Gabriele Martinengo, esperto in opere di difesa, che appena giunto di Candia, assunse la direzione dei lavori intrapresi per difendere l’isola.

L’organizzazione della difesa

A chi entrava dal porto Rodi appariva come un vasto anfiteatro di case e di forti digradante dai colli al mare. Le sue mura e le sue torri racchiudevano due porti, il più grande dei quali era difeso al nord dalla Torre di S. Nicola e a mezzodì dal Castello di Sant’Angelo e poteva essere chiuso alla navigazione mercè due grosse catene.

Sopra uno dei moli del porto piccolo poi il forte di Sant’Elmo e ai piedi di esso v’era saldata una grossa solida catena, la quale poteva ogni sera essere agganciata all’altra estremità dell’opposto molo.

Lungo il porto piccolo vi era l’arsenale e tra un porto l’altro correva un solido bastione difeso da una torre massiccia, dagli spalti della quale tre cannoni spalancavano le loro bocche minacciose.

Dalla parte di terra invece la città era difesa da una triplice muraglia, lungo la quale si rincorrevano tredici torri irte di cannoni. Questa speciale architettura della difesa della piazza, facevano apparire Rodi, dalla parte di terra come un mucchio di terrapieni e di muraglie, intersecate da profondi fossi, oltre i quali delle batterie si sovrapponevano nascondendosi, minacciando occultamente la strage da innumerevoli bocche da fuoco.

Completate le opere di difesa della piazza, Villiers de l’Isle Adam ricevette una nuova insolentissima lettera dal Sultano così che non ebbe più dubbi che l’assedio stesse per cominciare.

Passata in rassegna tutta la guarnigione e fatto obbligo di penitenza, dopo le preghiere d’uso prima della battaglia, il Gran Maestro affidò la difesa del bastione di Alvergna al cavaliere Du Mesnil, quello di Spagna al cavaliere Francisco Corrierès, quello d’Inghilterra cav. Nicola Huzy, quello di Provenza a Béranger de Lioncel e quello d’Italia ad Andelotto Gentile.

La torre di San Nicola fu affidata a Guyot Castelane della lingua di Provenza.

Il Gran Maestro, dopo aver confidato lo stendardo della Religione a Fra Antonio de Grolee del Delfinato il proprio a Fra Enrico Mauselle della sua casa, si riservò la difesa del quartiere di Santa Maria della Vittoria che era il punto più debole della città.

L’arrivo dell’armata turca

Alba del 26 giugno 1522 una galea ritornando in porto a vele spiegate avvertì che la flotta turca muoveva all’assalto della città. Di lì a qualche ora infatti ben 400 navi di varia grandezza comparvero sull’orizzonte.