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212 IL BUON CUORE


vide all’altare di S. Fedele per la celebrazione della Messa che per lui doveva essere l’ultima, ebbe a dire: «L’asceta è diventato un santo, pronto per la vita eterna».

Trasportato alla sua casa paterna, è spirato serenamente la mattina del giorno di S. Pietro, benedetto dal S. Padre e da S. E. il Cardinale Arcivescovo.

I suoi funerali riuscirono imponenti per concorso di clero e per larga partecipazione del popolo. Era presente il clero di S. Fedele al completo e si notarono mons. Bernardino Nogara, mons. Giuseppe Confalonieri e mons. Barbavara del Capitolo di S. Ambrogio. Seguivano il feretro anche le rappresentanze numerose dell’Oratorio di S. Fedele e dell’Asilo Orlando Cantù di Milano.

Al cimitero dissero parole indovinatissime per la schiettezza dei sentimenti e per fatti parlanti, il sacerdote Guido Novi, il prof. A. Bassi e il nob. Ignazio De Carli.

Pace all’anima del venerato Amico!

A. M. Cornelio.

Educazione ed Istruzione


Onoranze ad un Gentiluomo Lombardo


Tempo fa ebbe luogo in Torino, nella chiesa parrocchiale della Crocetta (il cui zelante curato è fratello del noto prof. Roccati, che accompagnò il Duca degli Abruzzi al Ruwenzori), splendidamente addobbata di arazzi e vagamente adorna di piante esotiche e di una profusione di fiori, la prima esecuzione d’una Messa di gloria a grande orchestra, che l’illustre autore, il Conte Angelo Gambaro personalmente diresse alla presenza di S. A. I. e R. la Principessa Laetitia di Savoia-Napoleone, Duchessa d’Aosta, di S. E. il Cardinale Agostino Richelmy e d’una folla d’invitati che compendiavano quanto v’ha di più eletto e gentile nella capitale dell’antico Piemonte.

La Messa, dedicata con devoto pensiero a S. A. la venerata Principessa Clotilde, fu da critici eminenti (appositamente qui convenuti da ogni parte) giudicata una squisita opera d’arte, di mirabile fattura, che sciogliendosi arditamente dalle pastoie d’un rigido convenzionalismo ornai vieto, e pur mantenendosi scrupolosamente ligia alle austere norme liturgiche, descrive nelle varie sue parti la suprema tragedia del Golgotha, armonizzando l’umano e il divino in una patetica elegia di sentimenti e di affetti, in una eccelsa epopea di sacrificio, di dolore e di amore.

L’unanime consentimento della stampa e del pubblico si tradusse in atto coll’omaggio di un magnifico Albo, che fu in questi giorni presentato al valoroso Maestro, in perenne ricordanza, nel castello ch’egli qui si eresse a sontuosa dimora, dove si dà spesso convegno il fiore della società torinese, per cortese invito
della Contessa Olga Gambaro nata Bernasconi De Luca di Riva S. Vitale, tutta bontà, tutta grazia ed eleganza, degnissima consorte dell’insigne compositore, ch’è pure un geniale e delicato poeta.

L’Albo, rilegato in pergamena, porta sulla copertina lo stemma nobiliare di casa Gambaro col fiero motto — Frangar, non flectar — incorniciato da una ghirlanda d’alloro a bacche d’oro.

La decorazione artistica del prezioso volume, chiuso con fermagli d’oro, in ricco stipo, venne affidato all’esimio prof. Vulten, che l’eseguì da pari suo.

La dedica, a caratteri onciali, inquadrata di fregi alluminati, è seguita in altra pagina da un volo di angeli, che in vesti ondeggianti, colle chiome fluenti, scende osannando dal cielo, ed è un piccolo poema di mistica bellezza.

S. A. la Duchessa d’Aosta, il Cardinale Arcivescovo di Torino, il Prefetto, il Sindaco, il Vescovo di Asti, il Vescovo titolare di Derbe, il Vescovo titolare di Gaza, Senatori, Deputati, Consiglieri Provinciali e Comunali, Magistrati, Generali, letterati famosi, celebri artisti, luminari di scienza e dottrina han voluto segnare il loro nome nell’Albo commemorativo, unendosi a tutta l’aristocrazia torinese nell’omaggio tributato al Gentiluomo lombardo, che l’alto ingegno sa esplicare ed affermare colle virtù peregrine del cuore in alte manifestazioni di arte e di fede.

Torino.

Riti funebri presso i Tonga

Il Tonga attribuisce la morte o a stregonerie od agli spiriti. Una morte prodotta da malattia si ascrive a stregoneria o agli spiriti; se è fortuita, a questi ultimi. Se muore qualcuno, si va dallo stregone, il quale gitta a terra i suoi ossi, e la loro posizione indica il colpevole. Sotto il vecchio regime egli pronunziava il nome del reo; ora egli si guarda bene dal far ciò, per paura di suscitare risse sanguinose, che dal governo dei bianchi sarebbero punite esemplarmente.

Appena avvenuto un decesso, si sotterra il cadavere in questo modo. Si scava la fossa di fronte alla capanna del defunto, a due passi. L’operazione si compie in mezzo a nenie, cui partecipa tutto il villaggio. Non vi ha quasi dei pianti, poichè la razza è estremamente insensibile. I piagnoni si stropicciano il corpo con mota, in segno di lutto. Il cadavere è sepolto in una pelle o coperta. Lo accompagnano gli oggetti, quali la pipa, zagaglia, ascia, ecc. e poi un po’ di cibo. Prima di colmare la fossa, si dice al morto: «Riposa in pace, non ti affliggere; piuttosto affliggi chi fu causa della tua morte!» Lo spirito si suppone che infastidisca la capanna, in cui esalò l’ultimo anelito.

In caso di malattia, dicono: «Forse lo spirito è malcontento, perchè noi lo dimentichiamo. Offriamogli un sacrificio». E sacrificano un pollo e birra, dicendo: «O spirito, sii soddisfatto Noi ti offrimmo un sacrificio; non tormentare il malato!».