Pagina:Il canapajo di Girolamo Baruffaldi, Bologna 1741.djvu/104

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Terra non manca ovunque tu t’aggiri,
E terra adopra: cavane mattoni
Crudi, quai gli usa il plastico scultore,
Ma che sien duri, e sovrapponli ai fasci
Già fermi, e fitti a forza di cavigli
Piantati giù nel fondo de la fossa.
Questa meglio s’adatta ove si pone,
E fermo tien ciò, cui sovrasta e preme.
E’ ver, che l’acqua ammorbidendo tosto
Il matton crudo fin dentro ’l midollo,
Non che ne la corteccia esteriore,
Tramanderà ne’ sottoposti fasci
(Atti a restar d’ogni colore impressi)
Un nericcio colore, un viscidume
Livido, per cui poi rimarrà tinta
La canape, o di fuor macchiata almeno,
E presso ’l comprator perderà ’l pregio:
Tu dì ’l ver: ma non tutto hai detto ancora,
Perchè forse ti rode internamente
La rimembranza, che sei uom dappoco.
Dov’è ’l valor de le tue braccia? dove
L’infaticabil fianco, che in tant’altri
Lavori adoprar sai con tanta lena,
Quando per te, piucchè pel tuo padrone,
Qualche, benchè faticosa opra, imprendi?
Io potrei, ma non vo’, per tua vergogna,
Qui fuor di tempo, discoprir gli altari.
Se quando il tiglio macero vedrai,
Da questa terra, che più presto bolle,
Scaricherai con amorosa cura
Dei cretosi mattoni i molli fasci,
E butteraili a riva, o fuor di mano;
Rimarrà poco il fango giù deposto