Pagina:Il canapajo di Girolamo Baruffaldi, Bologna 1741.djvu/30

Da Wikisource.

250Ed inzupparne l’arido midollo
De l’arenoso sottoposto letto,
Sicchè cangi natura, e fertil vegna.
Che se di bronzo è il ciel, e giù non stilli
Nemmen con la benefica rugiada;
255Allor la vanga, il vomero, o la marra ,
Per arte fa ciò che non fe’ natura.
Così fiorir la canape vedrai
Ben vigorosa, e ’l fil ch’indi usciranne,
Fia qual seta sottil, morbido e bianco;
260E un nuovo frutto del primier non meno
Util, che sicurissimo n’avrai:
Perocchè, ripensando a l’avvenire,
Se vorrai dopo rivestir la terra
Di biade, o di qualunque altro sia grano,
265In virtù di tal fime ivi sepolto,
Che forza serba per più anni ancora,
Raddoppierai per cento volte il seme;
E per gioja dirai, fuor di te stesso,
Che versò sopra quel terren felice
270Cerere amica d’ogni ben la copia.
Nè questa sol è del terren la dote
Per nutricar sì fruttuosa pianta:
Guardar convienti, che fra terra e terra,
Fra vena e vena, e sin nel cupo fondo,
275Per vicinanza d’alcun lago, o fiume,
Molesta scaturigine non sorga.
Questa sorgente, che per pioppi, o salci,
E per simili piante util vien detta,
Molto a la nostra canape è nociva,
280Perchè morbide troppo, ed inzuppate
Tien le radici, onde l’effetto è poi,
Che putride divengono, e la canna