Pagina:Il diavolo.djvu/274

Da Wikisource.
266 Capitolo nono

così vedevansi streghe e stregoni, e non vi fu uomo insigne su cui non pesasse l’accusa di magia, a cominciare dai grandi dell’antichità morti da secoli, da Aristotele, da Ippocrate, da Virgilio, e a venir giù sino ai contemporanei di Leone X e oltre. Di magia fu sospettato il Petrarca, e in pieno secolo XVII si fece un processo ad Alessandro Tassoni, per essergli stato trovato in casa, entro una boccia di vetro, uno di quei diavoli che servono a trastullare i fanciulli, e che si chiamano diavoli di Cartesio. Parecchi papi, come Leone III, il già ricordato Gerberto, Benedetto IX, Gregorio VI, Gregorio VII, Clemente V, Giovanni XX, soggiacquero alle medesime accuse. Sul finire del secolo XI, il cardinale Benno pretendeva nella sua Vita d’Ildebrando (Gregorio VII) che c’era in Roma una scuola di magia da cui quello ed altri papi erano usciti; e del secolo XII, e del XIV, ci sono lettere autentiche di Satana, scritte ai principi della Chiesa, amici e cooperatori suoi. Un dotto francese, Gabriele Naudè, potè stampare nel 1625 un grosso libro in cui si fa l'apologia dei grandi uomini d’ogni condizione cui toccò la stessa sorte.