Pagina:Il piacere.djvu/433

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lenzioso, oscuro. Ella gli accarezzava piano i capelli, le tempie, la fronte ove, sotto la carezza, si moveva un pensiero infame. D’in torno a loro, la stanza immergevasi nell’ombra, a poco a poco; fluttuava il profumo commisto dei fiori e della bevanda; le forme si confondevano in una sola apparenza armonica e ricca, senza realità.

Dopo un intervallo, Maria disse:

― Lévati, amore. Bisogna che io ti lasci. È tardi.

Egli si levò, pregando:

― Resta con me un altro momento, fino all’Ave Maria.

E la trasse di nuovo a sedere sul divano, dove i cuscini luccicavano nell’ombra. Nell’ombra egli la distese con un moto repentino, le strinse il capo, coprendole di baci la faccia. Il suo ardore era quasi iroso. Egli imaginava di stringere il capo dell’altra, e imaginava quel capo macchiato dalle labbra del marito; e non ne aveva ribrezzo ma ne aveva anzi un desiderio più selvaggio. Dai fondi più bassi dell’istinto gli risalivano nella conscienza tutte le torbide sensazioni avute in cospetto di quell’uomo; gli risalivano al cuore tutte le oscenità e le brutture, come un’onda di fango rimescolata; e tutte quelle vili cose passavano nei baci su le guance, su la fronte, su i capelli, sul collo, su la bocca di Maria.

― No; lasciami! ― ella gridò liberandosi dalla stretta con uno sforzo.

E corse, verso la tavola del tè, ad accendere le candele.