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Pagina:Il vicario di wakefield.djvu/112

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capitolo decimosettimo. 103

grati di questa tranquillità al cielo, della salute, della vita riposata ch’egli ci accorda! Parmi ora di sentirmi più felice del maggior monarca che v’abbia al mondo; e certo egli non siede mai a un così bel focolare coronato da volti così cari, così gioviali come codesti. Moglie mia, noi invecchiamo; ma la sera della nostra vita vuol essere felice. I nostri antenati furono illibati mai sempre, e noi lasceremo dietro una schiatta di buoni figliuoli e virtuosi. Eglino saranno nostro sostegno e nostra consolazione finchè vivremo; e morti noi, manderanno alla posterità immacolato l’onore della famiglia. Su presto, mio buon Mosè, tocca a te a intonare; bramerei che voi tutti cantaste a coro. Ma dove è la Olivia? La di lei vocina da cherubino sempre vien discernuta fuor delle altre per quella sua cara dolcezza.”

Io non aveva ancor finito di dire, quando Ricciardetto, a tutta foga accorrendo, “Ah padre! ah padre!” esclamò, “ell’è partita; la Livia è fuggita da noi e per sempre.” — “Fuggita di’ tu?” — “Sì sì, partita con due gentiluomini in un calesso da posta, ed uno la baciò dicendole che sarebbe morto per lei volentieri. Ella gridava, strepitava, voleva tornare indietro; ma colui la persuadette di nuovo: poi salita nel calesso l’udii dire: Oh! che sarà del mio povero padre allora ch’egli saprà ch’io sono rovinata!”

“Oh figliuoli miei, miserabili tutti quanti! Non v’è più un’ora sola di gioia per noi a sperare. Cada sovra di lui, sovra i suoi l’eterna ira di Dio. Rapirmi così la mia fanciulla! Oh sì! lui farà maledetto Iddio che vede tôrsi quell’innocente creatura già da me indirizzata sulla via del cielo. Quanto eri tu candida, Olivia mia! Ma tutta la nostra terrena felicità è sparita. Andatene, andate, figliuoli miei; voi sarete miserabili ed infami. Ahimè infelice! il cuor mi si squarcia.” — “E questa, o padre, è la tua fortezza d’animo?” esclamò il mio figliuolo.

“Fortezza?” ripigliai, “sì, sì; colui vedrà ch’io ne