Vai al contenuto

Pagina:Il vicario di wakefield.djvu/156

Da Wikisource.

capitolo ventesimosecondo. 141

ne, è per sè stesso più virtuoso atto di mille opere oneste.”

CAPITOLO VENTESIMOTERZO.

Tranne il colpevole, nessuno può essere a lungo e all’in tutto miserabile.

Fu d’uopo di diverse cure affine di rendere più che fosse possibile comoda la nostra nuova abitazione; e indi a non molti dì l’antica serenità ricomparve. Male atto io ad assistere ne’ giornalieri lavori al mio figliuolo, mi tratteneva in casa leggendo alla mia famiglia que’ pochi libri scampati all’incendio, e più volentieri quelli che ricreando l’immaginazione contribuiscono a restituire all’anima tranquillità. Ogni giorno venivano i buoni vicini a consolarci soavemente; e tra di loro stabilirono anche un tempo in cui, riuniti tutti, restaurare la mia prima casa. Egli pure, l’onesto castaldo Williams, non fu degli ultimi a visitarci; e ci profferse di buon cuore la sua amicizia, ed avrebbe di voglia rinnovate le antiche sollecitazioni amorose verso della mia figliuola; ma ella le ricusò in modo da troncarle per sempre. Il cordoglio di quella misera parea dovere essere eterno; ella essendo la sola di tutti noi, sul di cui volto dopo una settimana non ritornasse la primiera festività. Perduta aveva, la giovinetta, quella sicura innocenza che di niuna cosa arrossisce, e per la quale una volta stimava ella sè stessa, e traeva diletto dall’essere dagli altri vagheggiata.

Oppressa la mente di lei da una strettissima ansietà, negletta la persona, coll’infievolirsi della complessione anche la bellezza svaniva. Ogni titolo affettuoso che altri dava alla sorella, strappava a lei dal seno un sospiro, una lagrima dal ciglio. E siccome un vizio, s’anco il reprimi, ne fa germogliare altri ov’egli allignava; così il suo pri-