Pagina:Il vicario di wakefield.djvu/56

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capitolo ottavo. 47

sdraiammo a godervi di pochi cibi frugali, e il signor Burchell accrebbe colla sua gioia piacevolezza a quel banchetto. Due merli squittivano a vicenda da opposte siepi, il pettirosso domestico saliva a beccare sulle nostre mani le briciolette, ed ogni cosa all’intorno spirava pace. “Non è volta,” disse Sofia, “ch’io mi sieda in questa guisa, e non mi corra alla mente la storia dei due amanti i quali in braccio l’un dell’altro furono colti da morte improvvisa sotto di una bica d’orzo. La descrizione che ne fa Gay è tanto patetica che ben cento volte io la lessi e ben cento ne fui commossa.” Il mio figliuolo la interruppe dicendo che i passi più belli di quella descrizione erano, a parer suo, molto inferiori a quelli della avventura di Aci e Galatea in Ovidio; e che il poeta romano, conoscendo meglio l’urto delle passioni, vi aveva con somma arte e più fina maneggiati gli affetti. Allora il signor Burchell prese così a favellare: “Ell’è maraviglia il vedere come entrambi que’ poeti che voi nominaste abbiano contribuito del pari ad introdurre, ciascuno tra’ suoi, un pessimo gusto, caricando ogni verso d’epiteti a iosa. Que’ loro difetti facilmente furono imitati da gente di scarso ingegno; e all’età nostra la poesia inglese, come quella dell’ultimo impero di Roma, altro non è che una combinazione d’immagini lussureggianti, accavallate le une sopra le altre senza ordine alcuno; una infilzatura d’epiteti che ti intronano gli orecchi senza destarti un’idea. Ma intanto ch’io sto tagliando altrui le gambe, voi forse vorreste ch’io non risparmiassi le mie; or bene sappiate che non per altra ragione io mi sono indotto a simili ciarle, se non per aver campo di far nota a questa adunanza una Ballata che, per quantí abbia difetti, è sicuramente netta degli accennati.

ballata

        Volgiti a me, cortese
      Uom della selva; i passi miei deh scorgi