Pagina:Iliade (Monti).djvu/112

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v.593 libro quarto 101

Del Simoenta, un giorno ivi venuta
Co’ genitori a visitar la greggia;
E Simoesio lo nomâr dal fiume.595
Misero! chè dei presi in educarlo
Dolci pensieri ai genitor diletti
Rendere il merto non poteo: la lancia
D’Aiace il colse, e il viver suo fe’ breve.
Al primo scontro lo colpì nel petto600
Su la destra mammella, e la ferrata
Punta pel tergo rïuscir gli fece.
Cadde il garzone nella polve a guisa
Di liscio pioppo su la sponda nato
D’acquidosa palude: a lui de’ rami605
Già la pompa crescea, quando repente
Colla fulgida scure lo recise
Artefice di carri, e inaridire
Lungo la riva lo lasciò del fiume,
Onde poscia foggiarne di bel cocchio610
Le volubili rote: così giacque
L’Antemide trafitto Simoesio,
E tale dispogliollo il grande Aiace.
   Contro Aiace l’acuta asta diresse
D’infra le turbe allor di Priamo il figlio615
Antifo, e il colpo gli fallì; ma colse
Nell’inguine il fedel d’Ulisse amico
Leuco che già di Simoesio altrove
Traea la salma; e accanto al corpo esangue,
Che di man gli cadea, cadde egli pure.620
   Forte adirato dell’ucciso amico
Si spinse Ulisse tra gl’innanzi, tutto
Scintillante di ferro, e più dappresso
Facendosi, e dintorno il guardo attento
Rivolgendo, librò l’asta lucente.625
Si misero a quell’atto in guardia i Teucri,