Pagina:Iliade (Monti).djvu/119

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108 iliade v.82

Nel destro clune Merïone, e sotto
L’osso vêr la vescica uscì la punta.
Gli mancâr le ginocchia, e guaiolando
E cadendo il coprì di morte il velo.85
   Mege uccise Pedéo, bastarda prole
D’Anténore, cui l’inclita Teano,
Gratificando al suo consorte, avea
Con molta cura nutricato al paro
Dei diletti suoi figli. Si fe’ sopra90
A costui coll’acuta asta il Filíde
Mege, e alla nuca lo ferì. Trascorse
Tra i denti il ferro, e gli tagliò la lingua.
Così concio egli cadde, e nella sabbia
Fe’ tenaglia co’ denti al freddo acciaro.95
   Ipsénore, figliuol del generoso
Dolopïon, scamandrio sacerdote
Riverito qual Dio, fugge davanti
Al chiaro germe d’Evemone Eurípilo.
Eurípilo l’insegue, e via correndo100
Tal gli cala su l’omero un fendente
Che il braccio gli recide. Sanguinoso
Casca il mozzo lacerto nella polve,
E la purpurea morte e il vïolento
Fato le luci gli abbuiâr. Di questi105
Tal nell’acerba pugna era il lavoro.
   Ma di qual parte fosse Dïomede,
Se troiano od acheo, mal tu sapresti
Discernere, sì fervido ei trascorre
Il campo tutto; simile alla piena110
Di tumido torrente che cresciuto
Dalle piogge di Giove, ed improvviso
Precipitando i saldi ponti abbatte
Debil freno alle fiere onde, e de’ verdi
Campi i ripari rovesciando, ingoia115