Pagina:Iliade (Monti).djvu/121

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110 iliade v.150

Del tuo favor cortese e al mio gran padre,150
Odimi, o Dea Minerva, ed or di nuovo
M’assisti, e al tiro della lancia mia
Manda il mio feritor: dammi ch’io spegna
Questo ventoso nebulon che grida
Ch’io del Sol non vedrò più l’aurea luce.155
   Udì la Diva il prego, e a lui repente
E mani e piedi e tutta la persona
Agile rese, e fattasi vicina
E manifesta disse: Ti rinfranca
Dïomede, e co’ Troi pugna securo;160
Ch’io del tuo grande genitor Tidéo
L’invitta gagliardía ti pongo in petto,
E la nube dagli occhi ecco ti sgombro
Che la vista mortal t’appanna e grava,
Onde tu ben discerna le divine165
E l’umane sembianze. Ove alcun Dio
Qui ti venga a tentar, tu con gli Eterni
Non cimentarti, no; ma se in conflitto
Vien la figlia di Giove Citerea,
L’acuto ferro adopra, e la ferisci.170
   Sparve, ciò detto, la cerulea Diva.
Allor diè volta e si mischiò tra’ primi
Combattenti il Tidíde, a pugnar pronto
Più che prima d’assai; chè in quel momento
Triplice in petto si sentì la forza.175
   Come lïon che, mentre il gregge assalta,
Ferito dal pastor, ma non ucciso,
Vie più s’infuria, e superando tutte
Resistenze si slancia entro l’ovile:
Derelitte, tremanti ed affollate180
L’una addosso dell’altra si riversano
Le pecorelle, ed ei vi salta in mezzo
Con ingordo furor: tal dentro ai Teucri