Pagina:Iliade (Monti).djvu/127

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116 iliade v.354

Segretamente un dì le sue puledre
Che di tale imeneo sei generosi355
Corsier gli partoriro. Egli n’impingua
Quattro di questi a sè nel suo presepe,
E due ne cesse al figlio Enea, superbi
Cavalli da battaglia. Ove n’avvegna
Di predarli, n’avremo immensa lode.360
   Mentre seguían tra lor queste parole,
Quelli incitando i corridor veloci
Tosto appressârsi, e Pandaro primiero
Favellò: Bellicoso ardito figlio
Dell’illustre Tidéo, poichè l’acuto365
Mio stral non ti domò, vengo a far prova
S’io di lancia ferir meglio mi sappia.
Così detto, la lunga asta vibrando
Fulminolla, e colpì di Dïomede
Lo scudo sì, che la ferrata punta370
Tutto passollo, e ne sfiorò l’usbergo.
Sei ferito nel fianco (alto allor grida
L’illustre feritor), nè a lungo, io spero,
Vivrai: la gloria che mi porti è somma.
   Errasti, o folle, il colpo (imperturbato375
Gli rispose l’eroe); ben io m’avviso
Ch’uno almeno di voi, pria di ristarvi
Da questa zuffa, nel suo sangue steso
L’ira di Marte sazierà. Ciò detto,
Scagliò. Minerva ne diresse il telo,380
E a lui che curvo lo sfuggía, cacciollo
Tra il naso e il ciglio. Penetrò l’acuto
Ferro tra’ denti, ne tagliò l’estrema
Lingua, e di sotto al mento uscì la punta.
Piombò dal cocchio, gli tonâr sul petto385
L’armi lucenti, sbigottîr gli stessi
Cavalli, e a lui si sciolsero per sempre