Pagina:Iliade (Monti).djvu/146

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v.999 libro quinto 135

Giuno, al governo delle briglie, affretta
Col flagello i corsieri. Cigolando1000
Per sè stesse s’aprîr l’eteree porte
Custodite dall’Ore a cui commessa
Del gran cielo è la cura e dell’Olimpo,
Onde serrare e disserrar la densa
Nube che asconde degli Dei la sede.1005
   Per queste porte dirizzâr le Dive
I docili cavalli, e ritrovaro
Scevro dagli altri Sempiterni e solo
Su l’alta vetta dell’Olimpo assiso
Di Saturno il gran figlio. Ivi i destrieri1010
Sostò la Diva dalle bianche braccia,
E il supremo de’ numi interrogando:
Giove padre, gli disse, e non ti prende
Sdegno de’ fatti di Gradivo atroci?
Non vedi quanta e quale il furibondo1015
Strage non giusta degli Achei commette?
Io ne son dolorosa: e queti intanto
Si letiziano Apollo e Citerea,
Essi che questo d’ogni legge schivo
Forsennato aizzâr. Padre, s’io scendo1020
A rintuzzar l’audace, a discacciarlo
Dalla pugna, n’andrai tu meco in ira?
   Va, le rispose delle nubi il sire,
Spingi contra costui la predatrice
Minerva, a farlo assai dolente usata.1025
   Di ciò lieta la Dea fe’ su le groppe
De’ corsieri sonar la sferza; e quelli
Infra la terra e lo stellato cielo
Desïosi volaro; e quanto vede
D’aereo spazio un uom che in alto assiso1030
Stende il guardo sul mar, tanto d’un salto
Ne varcâr delle Dive i tempestosi