Pagina:Iliade (Monti).djvu/200

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v.113 libro ottavo 189

Gli si fa sopra colla daga, e tenta
Tagliarne le tirelle, ecco veloci
Fra la calca e il ferir de’ combattenti115
Sopraggiungere d’Ettore i destrieri,
Superbi di portar sì grande auriga.
E qui perduta il veglio avría la vita,
Se del rischio di lui non s’accorgea
L’invitto Dïomede. Un grido orrendo120
Di pugna eccitator mise l’eroe
Alla volta d’Ulisse: Ah dove immemore
Di tua stirpe divina, dove fuggi,
Astuto figlio di Laerte, e volgi,
Come un codardo della turba, il tergo?125
Bada che alcun le fuggitive spalle
Non ti giunga coll’asta. Agl’inimici
Volta la fronte, ed a salvar vien meco
Dal furor di quel fiero il vecchio amico.
   Quelle grida non ode, e ratto in salvo130
Fugge Ulisse alle navi. Allor rimasto
Solo il Tidíde, si sospinse in mezzo
Ai guerrier della fronte, avanti al cocchio
Di Nestore piantossi, e lui chiamando
Veloci gli drizzò queste parole:135
Troppo feroce gioventù nemica
Ti sta contra, o buon vecchio, e infermi troppo
Sono i tuoi polsi: hai grave d’anni il dorso,
Hai debole l’auriga e i corridori.
Monta il mio cocchio, e la virtù vedrai140
Dei cavalli di Troe, che dianzi io tolsi
D’Anchise al figlio, a maraviglia sperti
A fuggir ratti in campo e ad inseguire.
Lascia cotesti agli scudieri in cura,
Drizziam questi ne’ Teucri, e vegga Ettorre145
S’anco in mia man la lancia è furibonda.