Pagina:Iliade (Monti).djvu/21

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10 iliade v.278

Io qui dal ciel discesi ad acchetarti,
Se obbedirmi vorrai. Giuno spedimmi,
Giuno ch’entrambi vi difende ed ama.280
Or via, ti calma, né trar brando, e solo
Di parole contendi. Io tel predíco,
E andrà pieno il mio detto: verrà tempo
Che tre volte maggior, per doni eletti,
Avrai riparo dell’ingiusta offesa.285
Tu reprimi la furia, ed obbedisci.
   E Achille a lei: Seguir m’è forza, o Diva,
Benchè d’ira il cor arda, il tuo consiglio.
Questo fia lo miglior. Ai numi è caro
Chi de’ numi al voler piega la fronte.290
   Disse; e rattenne su l’argenteo pomo
La poderosa mano, e il grande acciaro
Nel fodero respinse, alle parole
Docile di Minerva. Ed ella intanto
All’auree sedi dell’Egíoco padre295
Sul cielo risalì fra gli altri Eterni.
   Achille allora con acerbi detti
Rinfrescando la lite, assalse Atride:
   Ebbro! cane agli sguardi e cervo al core!
Tu non osi giammai nelle battaglie300
Dar dentro colla turba; o negli agguati
Perigliarti co’ primi infra gli Achei,
Chè ogni rischio t’è morte. Assai per certo
Meglio ti torna di ciascun che franco
Nella grand’oste achea contro ti dica,305
Gli avuti doni in securtà rapire.
Ma se questa non fosse, a cui comandi,
Spregiata gente e vil, tu non saresti
Del popol tuo divorator tiranno,
E l’ultimo de’ torti avresti or fatto.310
Ma ben t’annunzio, ed altamente il giuro