Pagina:Iliade (Monti).djvu/310

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v.189 libro duodecimo 299

La grandine cui vento impetuoso
Di negre nubi agitator riversa190
Sull’alma terra; nè piovean gli strali
Sol dalle mani achive, ma ben anco
Dalle troiane, e al grandinar de’ sassi
Smisurati mettean roco un rimbombo
Gli elmi percossi e i risonanti scudi.195
   Fremendo allor si battè l’anca il figlio
D’Irtaco, e disse disdegnoso: O Giove
E tu pur ti se’ fatto ora l’amico
Della menzogna? Chi pensar potea
Contro il nerbo di nostre invitte mani200
Tal resistenza dagli Achei? Ma vèlli
Che come vespe maculose in erti
Nidi nascoste, a chi dà lor la caccia
S’avventano feroci, e per le cave
Case e pe’ figli battagliar le vedi:205
Così costor, benchè due soli, addietro
Dar non vonno che morti o prigionieri.
   Così parlava, nè perciò di Giove
Si mutava il pensier, che al solo Ettorre
Dar la palma volea. Aspro degli altri210
All’altre porte intanto era il conflitto.
Ma dura impresa mi saría dir tutte,
Come la lingua degli Dei, le cose.
Perocchè quanto è lungo il saldo muro
Tutto è vampo di Marte. Alta costringe215
Necessità, quantunque egri, gli Achei
A pugnar per le navi; e degli Achei
Tutti eran mesti in cielo i numi amici.
   Qui cominciâr la pugna i due Lapiti.
Vibrò la lancia il forte Polipéte,220
E Damaso colpì tra le ferrate
Guance dell’elmo. L’elmo non sostenne