Pagina:Iliade (Monti).djvu/356

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v.730 libro decimoterzo 23

Cadde il confitto su la lancia, e tutto730
Si contorcea qual bue, cui di ritorte
Funi annodato su pel monte a forza
Strascinano i bifolchi, e tale anch’egli
Si dibattea; ma il suo penar fu breve:
Chè tosto accorse Merïone, e svelta735
L’asta dal corpo, l’acchetò per sempre.
   Grande e battuta su le tracie incudi
Alza Eleno la spada, ed alla tempia
Dëípiro fendendo gli dirompe
L’elmo, e dal capo glielo sbalza in terra.740
Ruzzolò risonante la celata
Fra le gambe agli Achivi, e fu chi tosto
La raccolse: ma negra eterna notte
Dëípiro coperse. Addolorato
Del morto amico il buon minore Atride,745
Contro il regale eroe che a morte il mise,
Minaccioso avanzossi, alto squassando
L’acuta lancia; ed Eleno a rincontro
L’arco tese. Affrontârsi ambo i guerrieri,
Bramosi di vibrar quegli la picca,750
Questi lo strale. Saettò primiero
Di Priamo il figlio, e colpì l’altro al petto
Nel cavo del torace. Il rio quadrello
Via volò di risalto, e a quella guisa
Che per l’aia agitato in largo vaglio755
Al soffiar dell’auretta ed alle scosse
Del vagliator sussulta della bruna
Fava o del cece l’arido legume;
Dall’usbergo così di Menelao
Resultò risospinto il dardo acerbo.760
Di risposta l’Atride al suo nemico
Ferì la man che il liscio arco strignea,
E all’arco stesso la confisse. In salvo