Pagina:Iliade (Monti).djvu/374

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v.184 libro decimoquarto 41

Degli Achei la fortezza a quella voce,
E il desío di pugnar senza riposo.185
   Su le vette d’Olimpo in aureo trono
Sedea Giuno, e di là visto il divino
Suo cognato e fratel che in gran faccenda
Per la pugna scorrea, gioinne in core.
Sovra il giogo maggior scôrse ella poscia190
Dell’irrigua di fonti Ida seduto
L’abborrito consorte; e in suo pensiero
L’augusta Diva a ruminar si mise
D’ingannarlo una via. Calarsi all’Ida
In tutto il vezzo della sua persona,195
Infiammarlo d’amor, trarlo rapito
Di sua beltà nelle sue braccia, e dolce
Nelle palpebre e nell’accorta mente
Insinuargli il sonno, ecco il partito
Che le parve il miglior. Tosto al regale200
Suo talamo s’avvía, che a lei l’amato
Figlio Vulcano fabbricato avea
Con salde porte, e un tal serrame arcano
Che aperto non l’avrebbe iddio veruno.
Entrovvi: e chiusa la lucente soglia,205
Con ambrosio licor tutto si terse
Pria l’amabile corpo, e d’oleosa
Essenza l’irrigò, divina essenza
Fragrante sì che negli eterni alberghi
Del Tonante agitata e cielo e terra210
D’almo profumo rïempía. Ciò fatto,
Le belle chiome al pettine commise,
E di sua mano intorno all’immortale
Augusto capo le compose in vaghi
Ondeggianti cincinni. Indi il divino215
Peplo s’indusse, che Minerva avea
Con grand’arte intessuto, e con aurate