Pagina:Iliade (Monti).djvu/391

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58 iliade v.83

Né l’ire io deporrò, nè che veruno
Degli Dei qui l’argive armi soccorra
Sosterrò, se d’Achille in pria non veggo85
Adempirsi il desío. Così promisi,
E le promesse confermai col cenno
Del mio capo quel dì che i miei ginocchi
Teti abbracciando, d’onorar pregommi
Coll’eccidio de’ Greci il suo gran figlio.90
   Disse, e la Diva dalle bianche braccia
Obbedïente dall’idéa montagna
All’Olimpo salì. Colla prestezza
Con che vola il pensier del vïatore,
Che scorse molte terre le rïanda95
In suo secreto, e dice: Io quella riva,
Io quell’altra toccai: colla medesma
Rattezza allor la veneranda Giuno
Volò dall’Ida sull’eccelso Olimpo,
E sopravvenne agl’Immortali, accolti100
Nelle stanze di Giove. Alzârsi i numi
Tutti al vederla, e coll’ambrosie tazze
L’accolsero festosi. Ella, negletta
Ogni altra offerta, la man porse al nappo
Appresentato dalla bella Temi105
Che primiera a incontrar corse la Dea,
Così dicendo: Perchè riedi, o Giuno?
Tu ne sembri atterrita. Il tuo consorte
N’è forse la cagion? - Non dimandarlo,
Giuno rispose. Quell’altero e crudo110
Suo cor tu stessa già conosci, o Diva.
Presiedi ai nostri almi convivii, e tosto
Qui con tutti i Celesti udrai di Giove
Gli aspri comandi che per mio parere
De’ mortali fra poco e degli Dei115
Le liete mense cangeranno in lutto.