Pagina:Iliade (Monti).djvu/464

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v.251 libro decimosettimo 131

Andromaca, al tornar dalla battaglia,
Scioglier l’usbergo del Pelíde Achille.
   Disse; e l’arco de’ negri sopraccigli
Abbassando, d’Ettorre alla persona
Adattò l’armatura. Al suo contatto255
Infiammossi l’eroe d’un bellicoso
Orribile furor, tutte di forza
Sentì inondarsi e di valor le vene.
Degl’incliti alleati, alto gridando,
Quindi avvïossi alle caterve, e a tutti260
Veder sembrava folgorar nell’armi
Del magnanimo Achille Achille istesso.
E d’ogni parte ognun riconfortando,
Mestle, Glauco, Tersíloco, Medonte,
Asteropéo, Disénore, Ippotóo,265
E Crómio, e Forci, e l’indovino Ennómo,
Con questi accenti li raccese: Udite,
Collegati: non io dalle vicine
Cittadi ad Ilio ragunai le vostre
Numerose coorti onde di gente270
Far molta mano, chè mestier non m’era;
Ma perchè meco da’ feroci Achei
Le teucre spose ne servaste e i figli
Con pronti petti. Di tributi io gravo
In questo intendimento il popol mio275
Per satollarvi. Dover vostro è dunque
Voltar dritta la fronte all’inimico,
E o salvarsi o perir, chè della guerra
Questo è il commercio. A chi di voi costringa
Aiace in fuga, e de’ Troiani al campo280
Tragga il morto Patróclo, a questi io cedo
La metà delle spoglie, e andrà divisa
Egual con esso la mia gloria ancora.
   Al fin delle parole alzâr le lance