Pagina:Iliade (Monti).djvu/482

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v.863 libro decimosettimo 149

O da Giove educato illustre Atride,
D’ogni parte volgevi i fulgid’occhi
Fra le turbe de’ tuoi, vivo spïando865
Di Nestore il buon figlio. Alla sinistra
Alfin lo vide della pugna in atto
Di far cuore ai compagni e rinfiammarli
Alla battaglia. Gli si fece appresso,
E con ratto parlar: Vieni, gli disse,870
Vieni, Antíloco mio: t’annunzio un fiero
Doloroso accidente, e oh! mai non fosse
Intervenuto. Un Dio, tu stesso il senti,
I Dánai strugge, e i Teucri esalta: è morto
Un fortissimo Acheo ch’alto ne lascia875
Desiderio di sè, morto è Patróclo.
Corri, avvisa il Pelíde, e fa che voli
A trarne in salvo il nudo corpo: l’armi
Già venute in balía sono d’Ettorre.
   All’annunzio crudel muto d’orrore880
Antíloco restò: di pianto un fiume
Gli affogò le parole, e nondimeno,
L’armi in fretta rimesse al suo compagno
Laódoco che fido a lui dappresso
I destrier gli reggea, corse d’Atride885
Il cenno ad eseguir. Piangea dirotto,
E volava l’eroe fuor della pugna
Nunzio ad Achille della rea novella.
   Del dipartir d’Antíloco dolenti
E bramose di lui le pilie schiere890
In periglio restâr; nè tu potendo
Dar loro aita, o Menelao, mettesti
Alla lor testa il generoso duce
Trasiméde, e di nuovo alla difesa
Del morto eroe tornasti; e degli Aiaci895
Giunto al cospetto, sostenesti il piede,