Pagina:Iliade (Monti).djvu/489

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156 iliade v.82

A lui mi rechi, sovvenir nol posso.
Nondimeno v’andrò, del caro figlio
Vedrò l’aspetto, e intenderò qual duolo
Dalla guerra lontano il cor gl’ingombra.85
   Uscì, ciò detto, dallo speco, e quelle
Piangendo la seguîr: l’onda ai lor passi
Riverente s’apría. Come di Troia
Attinsero le rive, in lunga fila
Emersero sul lido ove frequenti90
Le mirmidónie antenne in ordinanza
Facean selva e corona al grande Achille.
A lui che in gravi si struggea sospiri
La diva madre s’appressò, proruppe
In acuti ululati, ed abbracciando95
L’amato capo, e lagrimando, disse:
   Figlio, che piangi? Che dolore è questo?
Nol mi celar, deh parla. A compimento
Mandò pur Giove il tuo pregar: gli Achivi
Son pur, siccome supplicasti, astretti100
Ripararsi alle navi, e del tuo braccio
Aver mestiero, di sciagure oppressi.
   Con un forte sospir rispose Achille:
O madre mia, ben Giove a me compiacque
Ogni preghiera: ma di ciò qual dolce105
Me ne procede, se il diletto amico,
Se Pátroclo è già spento? Io lo pregiava
Sovra tutti i compagni; io di me stesso
Al par l’amava, ahi lasso! e l’ho perduto.
L’uccise Ettorre, e lo spogliò dell’armi,110
Di quelle grandi e belle armi, a vedersi
Maravigliose, che gli eterni Dei,
Dono illustre, a Peléo diero quel giorno
Che te nel letto d’un mortal locaro.
Oh fossi tu dell’Oceán rimasta115