Pagina:Iliade (Monti).djvu/523

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190 iliade v.353

Il suo fiero digiun non gli togliesse;
Indi agli eterni del potente padre
Soggiorni rivolò. Gli Achivi intanto355
Tutti in procinto dalle navi a torme
Versavansi nel campo; e a quella guisa
Che fioccano dal ciel, spinte dal soffio
Serenatore d’aquilon, le nevi,
Così dai legni uscir densi allor vedi360
I lucid’elmi, i vasti scudi, e i forti
Concavi usberghi e le frassinee lance.
Folgora ai lampi dell’acciaro il cielo
E ne brilla il terren, che al calpestío
Delle squadre rimbomba. In mezzo a queste365
Armasi Achille. Gli strideano i denti,
Gli occhi eran fiamme, di dolore e d’ira
Rompeasi il petto; e tale egli dell’armi
Vulcanie si vestía. Strinse alle gambe
I bei stinieri con argentee fibbie,370
Pose al petto l’usbergo, e di lucenti
Chiovi fregiato agli omeri sospese
Il forte brando; s’imbracciò lo scudo,
Che immenso e saldo di lontan splendea
Come luna, o qual foco ai naviganti375
Sovr’alta apparso solitaria cima,
Quando lontani da’ lor cari il vento
Li travaglia nel mar: tale dal bello
E vario scudo dell’eroe saliva
All’etra lo splendor. Stella parea380
Su la fronte il grand’elmo irto d’equine
Chiome, e fusa sul cono tremolava
L’aurea cresta. In quest’armi il divo Achille
Tenta sè stesso, e vi si vibra, e prova
Se gli son atte; e gli erano qual piuma385