Pagina:Iliade (Monti).djvu/54

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v.517 libro secondo 43

Dalla pugna si resti appo le navi
Neghittoso, non fia chi salvo il mandi
Dalla fame de’ cani e degli augelli.
   Così disse, e al finir di sue parole520
Mandâr gli Achivi un altissimo grido
Somigliante al muggir d’onda spezzata
All’alto lido ove il soffiar la caccia
Di furïoso Noto incontro ai fianchi
Di prominente scoglio, flagellato525
Da tutti i venti e da perpetue spume.
Si levâr frettolosi, si dispersero
Per le navi, destâr per tutto il lido
Globi di fumo, ed imbandîr le mense.
Chi a questo dio sacrifica, chi a quello,530
Al suo ciascun si raccomanda, e il prega
Di camparlo da morte nella pugna.
Ma il re de’ prodi Agamennóne un pingue
Toro quinquenne al più possente nume
Sagrifica, e convita i più prestanti:535
Nestore primamente e Idomenéo,
Quindi entrambi gli Aiaci, e di Tidéo
L’inclito figlio, e sesto il divo Ulisse.
Spontaneo venne Menelao, cui noto
Era il travaglio del fratello. E questi540
Fêr di sè stessi una corona intorno
Alla vittima, e preso il salso farro
Nel mezzo Agamennóne orando disse:
   Glorïoso de’ nembi adunatore
Massimo Giove abitator dell’etra,545
Pria che il sole tramonti e l’aria imbruni,
Fa che fumanti al suol di Priamo io getti
Gli alti palagi, e d’ostil fiamma avvampi
Le regie porte; fa che la mia lancia
Squarci l’usbergo dell’ettoreo petto,550