Pagina:Iliade (Monti).djvu/557

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224 iliade v.355

E di costa aggirandolo, gli ruba355
Di sotto ai piedi la fuggente arena.
   Levò lo sguardo al cielo il generoso,
Ed urlò: Giove padre, adunque nullo
De’ numi aita l’infelice Achille
Contro quest’onda! Ah ch’io la fugga, e poi360
Contento patirò qualsia sventura.
Ma nullo ha colpa de’ Celesti meco
Quanto la madre mia che di menzogne
Mi lattò, profetando che di Troia
Sotto le mura perirei trafitto365
Dagli strali d’Apollo! Oh foss’io morto
Sotto i colpi d’Ettorre, il più gagliardo
Che qui si crebbe! Avría rapito un forte
D’un altro forte almen l’armi e la vita.
Or vuole il Fato che sommerso io pera370
D’oscura morte, ohimè! come fanciullo
Di mandre guardïan cui ne’ piovosi
Tempi il torrente, nel guardarlo, affoga.
   Accorsero veloci al suo lamento,
E appressârsi all’eroe Palla e Nettunno375
In sembianza mortal: lo confortaro,
Il presero per mano, e della terra
Sì disse il grande scotitor: Pelíde,
Non trepidar: qui siamo in tua difesa
Due gran Divi, Minerva ed io Nettunno,380
Nè Giove il vieta, nè dal Fato è fisso
Che ti conquida un fiume; e tu di questo
Vedrai tra poco abbonacciarsi il flutto.
Un saggio avviso porgeremti intanto,
Se obbedirne vorrai. Dalla battaglia385
Non ti ristar se pria dentro le mura
Dell’alta Troia non rinserri i Teucri
Quanti potranno dalla man fuggirti,