Pagina:Iliade (Monti).djvu/654

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v.930 libro ventesimoquarto 321

Perocchè dalla cima Ilio sovverso930
Ruinerà tra poco or che tu giaci,
Tu che n’eri il custode, e gli servavi
I dolci pargoletti e le pudiche
Spose, che tosto ai legni achei n’andranno
Strascinate in catene, ed io con esse.935
E tu, povero figlio, o ne verrai
Meco in servaggio di crudel signore
Che ad opre indegne danneratti, o forse
Qualche barbaro Acheo dall’alta torre
Ti scaglierà sdegnoso, vendicando940
O il padre, o il figlio, od il fratel dall’asta
D’Ettor prostrati; chè per certo molti
Di costoro per lui mordon la terra.
Terribile ai nemici era il tuo padre
Nelle battaglie, e quindi è il duol che tragge945
Da tutti gli occhi cittadini il pianto.
Ineffabile angoscia, Ettore mio,
Tu partoristi ai genitor; ma nulla
Si pareggia al dolor dell’infelice
Tua consorte. Spirasti, e la mancante950
Mano dal letto, ohimè! non mi porgesti,
Non mi lasciasti alcun tuo savio avviso,
Ch’or giorno e notte nel fedel pensiero
Dolce mi fóra richiamar piangendo.
   Accompagnâr co’ gemiti le donne955
D’Andrómaca i lamenti, e li seguiva
Il compianto d’Ecúba in questa voce:
   O de’ miei figli, Ettorre, il più diletto!
Fosti caro agli Dei mentre vivevi,
E il sei, qui morto, ancora. Il crudo Achille960
Di Samo e d’Imbro e dell’infida Lenno
Su le remote tempestose rive
Quanti a man gli venían, tutti vendeva

Iliade, Vol. II 21