Pagina:Iliade (Monti).djvu/82

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v.251 libro terzo 71

Il dì che a pugna le virili Amázzoni
Discesero. Ma tante allor non fûro
Le frigie torme no quante or l’achee.
   Visto un secondo eroe, di nuovo il vecchio
La donna interrogò: Dinne chi sia255
Quell’altro, o figlia. Egli è di tutto il capo
Minor del sommo Agamennón, ma parmi
E del petto più largo e della spalla.
Gittate ha l’armi in grembo all’erba, ed egli
Come arïéte si ravvolve e scorre260
Tra le file de’ prodi; e veramente
Parmi di greggia guidator lanoso
Quando per mezzo a un branco si raggira
Di candide belanti, e le conduce.
   Quegli è l’astuto laerziade Ulisse,265
La donna replicò, là nell’alpestre
Suol d’Itaca nudrito, uom che ripieno
Di molti ingegni ha il capo e di consigli.
   Donna, parlasti il ver, soggiunse il saggio
Anténore. Spedito a dimandarti270
Col forte Menelao qua venne un tempo
Ambasciatore Ulisse, ed io fui loro
Largo d’ospizio e d’accoglienze oneste,
E d’ambo studïai l’indole e il raro
Accorgimento. Ma venuto il giorno275
Di presentarsi nel troian senato,
Notai che, stanti l’uno e l’altro in piedi,
Il soprastava Menelao di spalla;
Ma seduti, apparía più augusto Ulisse.
Come poi la favella e de’ pensieri280
Spiegâr la tela, ognor succinto e parco
Ma concettoso Menelao parlava;
Ch’uom di molto sermone egli non era,
Né verbo in fallo gli cadea dal labbro,