Pagina:Iliade (Monti).djvu/86

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v.386 libro terzo 75

Le mansuete gole, e palpitanti
Sul terren li depose e senza vita.
Ciò fatto, il sacro di Lïeo licore
Dal cratere attignendo, agl’Immortali
Fean colle tazze libagioni e voti;390
E qualche Teucro e qualche Acheo s’intese
In questo mentre così dire: O sommo
Augustissimo Giove, e voi del cielo
Dii tutti quanti, udite: A chi primiero
Rompa l’accordo, sia Troiano o Greco,395
Possa il cerébro distillarsi, a lui
Ed a’ suoi figli, al par di questo vino,
E adultera la moglie ir d’altri in braccio.
   Così pregâr: ma chiuse a cotal voto
Giove l’orecchio. Il re dardanio allora,400
Uditemi, dicea, Teucri ed Achei:
Alla cittade io riedo. A qual de’ due
Troncar debba la Parca il vital filo
Sol Giove e gli altri Sempiterni il sanno.
Ma contemplar del fiero Atride a fronte405
Un amato figliuol, vista sì cruda
Gli occhi d’un padre sostener non ponno.
   Sì dicendo, sul cocchio le sgozzate
Vittime pose il venerando veglio,
E ascesovi egli stesso, e tratte al petto410
Le pieghevoli briglie, al par con seco
Fe’ Anténore salire, e via con esso
Al ventoso Ilïon si ricondusse.
   Ettore allora primamente e Ulisse
Misurano la lizza. Indi le sorti415
Scosser nell’elmo a chi primier dovesse
L’asta vibrar. L’un campo intanto e l’altro
Le mani alzando supplicava al cielo,
E qualche labbro bisbigliar s’udía: