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Pagina:Iliade (Romagnoli) II.djvu/161

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158 ILIADE 439-468

contro i Troiani a pugnare; né accogliere piú di ritorno
440in patria io lo potrò, nella casa del vecchio Pelèo;
ed anche mentre ei vive, contempla la luce del sole,
deve soffrire; e non posso recarmi a lui presso, aiutarlo.
E la fanciulla che in premio prescelta i signori d’Acaia
aveano a lui, glie l’ebbe di mano poi tolta l’Atríde;
445e l’alma, egli, pel cruccio di lei si struggeva; e i Troiani
spinsero contro le navi gli Achivi, né uscir dalla stretta
piú li lasciarono. E allora, preghiera gli Achivi vegliardi
a lui volser, promessa gli fecer di fulgidi doni;
ma egli rifiutò di lungi scacciare il malanno,
450e l’armi proprie invece, fe’ cingere a Pàtroclo, e quello
a la battaglia mandò, con lui mandò pur molta gente.
Pugnaron tutto un giorno d’intorno alle porte sceèe;
e certo la città pigliavan quel giorno, se Apollo,
quando avea già molte stragi compiute il figliuol di Menezio,
455non l’uccideva fra i primi, che d’Ettore poi fu la gloria.
Per questo ai tuoi ginocchi vengo ora, se tu pel mio figlio,
che poco viver deve, foggiar mi volessi uno scudo,
ed un crinito elmetto, fimbriati schinieri, ed usbergo:
ché il suo, l’hanno i Troiani predato al suo fido compagno,
460ed egli a terra sta disteso, rodendosi il cuore».
     E a lei cosí rispose l’artefice sommo ambidestro:
«Sta di buon animo, e piú non t’affannino questi pensieri:
cosí lungi potessi tenerlo, nascosto alla Morte
abominata, quando lo giunga il suo fiero destino,
465come egli avrà belle armi, che niuno fra i tanti mortali
potrà restare senza stupor, come le abbia vedute».
     Detto cosí, la lasciò, e ai mantici fece ritorno.
I mantici eran venti: soffiavano dentro i crogiòli,