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176 ILIADE 260-289

260traggon vendetta di quanti fra gli uomini mancano ai giuri,
che io non posi mai la man su la figlia di Brise,
né per volerla d’amore, né mai per veruna ragione,
ma nelle tende mie nessuno mai l’ebbe a toccare.
Se in nulla fui spergiuro, m’infliggano i Numi tormenti
265molti, quanti essi serbare ne soglion, se alcuno spergiura».
     Disse, e lo stomaco svelse dell’apro col ferro spietato.
E lo scagliò Taltibio, giratolo a cerchio, nel gorgo
grande del mare bianco di spume. Ed in piedi sorgendo,
queste parole Achille parlò fra gli Achivi guerrieri:
270«O Giove padre, grandi sciagure tu infliggi ai mortali:
se no, mai non m’avrebbe l’Atride tale ira eccitata
e cosí lunga in seno, né contro mia voglia ed a forza
ei la fanciulla m’avrebbe rapita. Ma volle il Croníde,
che sopra molti Achei piombasse il destino di morte.
275Ma ora a pranzo andate, ché ancor poi divampi la zuffa».
     Cosí diceva; e senza piú indugio, disciolse il convegno.
Si sparpagliarono quelli, tornando ciascuno alla nave:
e allora, gli animosi Mirmídoni presero i doni,
e li recarono verso la nave d’Achille divino,
280li collocâr nella tenda, disposero ai seggi le donne,
e gli scudieri ammirandi recâr nella mandra i corsieri.
     E allor, Brisèide, bella non meno dell’aurea Afrodite,
come Pàtroclo vide trafitto dal ferro affilato,
abbandonata su lui, levò lagni acuti, ed il petto
285si lacerò con l’unghie, le guance ed il morbido collo,
e, lagrimando, disse, la donna che Diva sembrava:
«Pàtroclo, ch’eri a me tapina carissimo amico,
io vivo ti lasciai, quel dí che partii dalla tenda,
e ti ritrovo morto, signore di popoli, adesso