Pagina:Iliade (Romagnoli) II.djvu/218

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290-319 CANTO XXI 215

290Pàllade Atena, ed io Posídone; e Giove ci approva;
poi che destino non è che a un fiume soccomber tu debba:
questo, vedrai, dovrà tornare ben presto a bonaccia.
Noi ti daremo poi, se tu vuoi seguirlo, un consiglio.
Dall’accanita zuffa tu non trattenere le mani,
295sin ch’entro ai muri d’Ilio non cacci la turba ch’or fugge;
non ritornare alle navi, se ad Ettore prima non abbia
tolta la vita: il vanto d’ucciderlo noi ti daremo».
     E cosí detto, i due fra i Celesti tornarono; e Achille
via si lanciò, poi che i Numi cosí l’animarono, al piano.
300Dell’acqua straripata il pian tutto quanto era colmo,
vi galleggiavano sopra molte armi di giovani uccisi,
molti cadaveri. E Achille s’intese balzar le ginocchia:
alto s’avventò sopra le ondate, ché piú nol frenava
l’ampia corrente del fiume: tale impeto Atena gl’infuse.
305Né la sua furia frenò Scamandro; ma sempre piú irato,
contro il Pelíde raccolse la forza del rapido flutto;
ed al soccorso, levando la voce, chiamò Simoenta:
«Caro fratello, in due sbarriamo la strada a quest’uomo,
o che ben presto sarà la rocca di Priamo distrutta
310dalla sua zuffa, né i Teucri resister potranno alla furia.
Dunque, su, presto, accorri, soccorri, nei flutti raccogli
dalle sorgive l’acqua, prorompano gonfi i torrenti,
leva sublimi i tuoi gorghi, fa’ ch’alto s’innalzi un frastuono
di tronchi, di macigni, ché freno si ponga al selvaggio
315ch’ora imperversa, e crede di forza esser pari ai Celesti.
Ma né la forza, dico, né a lui gioverà la prestanza,
né l’armi belle, che presto, di questa palude nel fondo
giacer dovranno, sotto la melma nascoste; ed io stesso
lo coprirò d’arena, di ghiaia e belletta d’attorno