Pagina:Iliade (Romagnoli) II.djvu/260

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230-259 CANTO XXIII 257

230nel mar di Tracia; e il flutto rigonfio gemeva furente.
Ed il Pelíde allora si fece lontan dalla pira,
e stanco si chinò, sopra lui scese il sonno soave.
Si radunarono gli altri frattanto d’intorno all’Atríde,
e il loro calpestio, lo strepito, Achille riscosse.
235E si levò l’eroe, sede’, cosí prese a parlare:
«Atríde, e tutti voi, che principi siete d’Acaia,
tutti la pira prima spengete col fulgido vino,
dove la furia avvampò del fuoco. Di Pàtroclo l’ossa
raccoglier poi dobbiamo, del prode figliuol di Menezio,
240bene scernendole: e facile è scernerle: in mezzo alla pira
giacciono quelle: gli altri bruciarono tutti in disparte,
uomini e destrïeri, su gli orli confusi del rogo.
E dentro un vaso d’oro si pongan, fra duplice grasso
sinché non debba io stesso perire, nascosto nell’Ade.
245Né troppo grande io voglio che il tumulo sia costruito:
tanto sia grande quanto per l’ossa di Pàtroclo basti.
Largo voi poscia un altro, potete, sublime innalzarne,
Achei che su le navi sarete quando io sarò morto».
     Cosí diceva; e pronti fûr tutti gli Achivi ai suoi detti.
250Spensero prima la pira col fulgido vino, dovunque
era avvampato il fuoco: giú fitta la cenere cadde;
e quindi, l’ossa bianche del mite compagno, piangendo,
entro una fiala d’oro raccolser, fra duplice grasso;
poi, nella tenda deposta, l’avvolser di candido lino.
255Quindi tracciarono in giro la tomba, vicino alla pira,
gittâr le fondamenta, vi sparsero sopra la terra.
Alzata poi la tomba, di lí si partirono. E Achille
quivi trattenne le genti, dispose una lizza di gare,
ampia, dai suoi navigli recar fece i premii: lebèti,