Pagina:Iliade (Romagnoli) II.djvu/264

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349-378 CANTO XXIII 261

     Detto cosí, sede’ di nuovo il Nelíde al suo posto,
350poi che al suo figlio die’ d’ogni cosa precisi consigli.
     E Merióne aggiogò per quinto i criniti corsieri.
E poi, saliron tutti sui carri, e gittaron le sorti.
L’urne agitava Achille. Del figlio di Nèstore prima
uscí la sorte: uscí seconda la sorte d’Eumèlo;
355fu terzo Menelao, l’Atride maestro di lancia,
e Merióne dopo fu tratto, a guidare i cavalli:
ultimo usci Dïomede, che era il migliore di tutti.
Stettero tutti in fila: la mèta del corso il Pelíde
mostrò sopra l’uguale pianura, ed a guardia vi pose
360Fenice, pari a un Nume, compagno del vecchio Pelèo,
perché vedesse il corso, potesse informarlo del vero.
     Tutti ad un punto, allora le sferze levâr sui cavalli:
le redini batteron sui dorsi, levarono gridi
per eccitarli; e quelli la via divoravano al piano,
365scostandosi a gran furia dai legni. Sorgea come nube
alta di sotto i piedi la polvere, come procella,
e le criniere ondeggiavano, insieme coi soffi del vento.
E i carri, ora correvan rasenti alla terra feconda,
or si lanciavano a balzi nell’aria. Sui carri, gli aurighi
370stavano in piedi; e il cuore balzava nel petto a ciascuno,
per brama di vittoria, ciascuno aizzava i corsieri:
quelli correvano a volo, coprendo di polvere il piano.
     Or, quando poi del corso pervennero all’ultimo tratto,
presso il canuto mare, di nuovo palese il valore
375parve d’ognuno: i corsieri lanciarono a corso disteso.
E le giumente allora balzarono prime d’Eumèlo:
secondi, del Tidíde seguiano i cavalli troiani,
né eran troppo lungi da quelle, anzi molto da presso,