Pagina:Iliade (Romagnoli) II.djvu/272

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589-618 CANTO XXIII 269

E tu sai bene come dei giovani sono i trascorsi,
590impetuose piú le brame, ed il senno minore.
Dunque, il tuo cuore sia paziente; ed a te la cavalla
che m’ebbi, io renderò: ché se tu mi chiedessi altra cosa
anche maggiore, che a te regalarla dovessi del mio,
súbito a te la darei, piuttosto che uscir dal tuo cuore
595per sempre, o re, piuttosto che frangere ai Dèmoni il giuro.»
     Sí disse; e a Menelao di Nèstore il nobile figlio
die’ la giumenta. E allora il cuor del figliuolo d’Atrèo
si confortò, come quando rugiada s’effonde sui cólti,
quando è florida tutta la messe, irti i campi di spighe.
600Si ristorò cosí, Menelao, l’alma tua nel tuo seno;
e, a lui rivolto, alate cosí le parole volgevi:
«Antíloco, ora, poi, voglio io stesso, sebbene crucciato,
cedere a te: ché stolto tu prima non eri, né folle.
La gioventú t’ha ora sviato. Ma tu d’ora innanzi,
605schiva la frode con quelli che sono di te piú valenti.
Niun altro degli Achei m’avrebbe sí presto convinto;
ma tu molte hai durate fatiche, ed hai molto sofferto,
per causa mia, col prode tuo padre, col prode fratello.
Per questo alla tua prece mi piego; e ti do la giumenta
610per giunta, ch’è pur mia: perché riconoscano tutti
che il cuore mio non è prepotente, che mai non è duro».
     Disse. E a Noèmone quindi, compagno d’Antíloco, diede,
ché la recasse via, la giumenta. Egli prese il lebète:
i due talenti d’oro, li prese Meríone, quarto
615nel premio e nella corsa. Restava la gèmina tazza,
il quinto premio. Achille, recato lontan dagli Achivi
Nèstore, a lui la diede, volgendogli queste parole:
«Prendi, ché anche per te c’è un dono, e tu serbalo, o vecchio,