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270 ILIADE 619-648

ché ti rammenti l’esequie di Pàtroclo, sempre: ché vivo
620non lo vedrai mai piú fra gli Argivi. Ti do questo premio,
senza far gara: ché tu né la lotta né i pubblici giochi
affronterai, né scagliare zagaglie, né gara di piedi:
ché troppo omai su te s’aggrava la dura vecchiaia».
     E, cosí detto, la coppa gli porse. Ben lieto il vegliardo
625l’accolse, e a lui cosí rivolse l’alata parola:
«Sí, tutto quello ch’ài detto mi parve opportuno, figliuolo,
ché salde non ho piú le membra, né i piedi; e le mani
dagli omeri qua e là non piú mi s’avventan leggere.
Giovine fossi cosí, cosí m’assistesse la forza,
630come allorché gli Epèi sepolcro al sovrano Amarínche
diêro in Bupràsio, e gare pel re celebrarono i figli!
Qui, nessun uomo a fronte mi stette: nessun degli Epèi,
non dei magnanimi Etòli, neppure di quelli di Pilo.
Pugile io vinsi qui Clitomède figliuolo d’Enòpo,
635e nella lotta Ancèo pleurònio che contro mi stette:
Ìficlo superai, per quanto valente, alla corsa,
e Polidoro e Filèo superai nel vibrar la zagaglia.
Coi destrïeri, solo, mi vinsero d’Àttore i figli:
vennero due contro uno: contesero a me la vittoria
640invidïosi; ché ancora restavano i premii migliori.
Erano due gemelli: reggeva l’un d’essi le briglie,
ritto reggeva le briglie: sferzava il secondo i cavalli.
Tale una volta fui. Conviene ai piú giovani adesso
tali cimenti affrontare: piegarmi all’esosa vecchiezza
645ora me d’uopo: un giorno rifulsi però tra gli eroi.
Ma dunque, onora, su, con le funebri gare il compagno;
ed io con tutto il cuore gradisco il tuo dono, ed esulto,
ché dell’affetto mio sei memore; e mai non oblíi