20d’ogni bruttura tergea, lo cingeva con l’ègida d’oro,
mentre ei lo trascinava, perché strazïato non fosse.
Nella sua furia, cosí, strazio d’Ettore Achille faceva.
E n’ebbero pietà, vedendolo, i Numi d’Olimpo,
e invito all’Argicída facevan, perché lo involasse. 25Fu tale avviso a tutti gradito; ma spiacque alla sposa
di Giove, e all’occhiazzurra Fanciulla, e al Signore del ponto:
serbavano essi l’ira concetta contro Ilio, ed il sire
Príamo, e la gente d’Ilio, per colpa di Pàride, quando
egli le Dive offese, venute a cercarlo all’ovile, 30e quella esso prescelse che offerta gli fe’ del piacere.
Or, poi che da quel giorno spuntarono dodici aurore,
Apollo Febo queste parole rivolse ai Celesti:
«Tristi voi siete, o Dei, maligni: non v’arse abbastanza
Ettore un giorno cosce di bovi e di capre perfette? 35Or non vi basta il cuore, neppur dopo morto, a salvarlo,
sí che la sposa lo veda, lo vedano il figlio e la madre,
e Priamo il padre, e tutta la gente di Troia, che il corpo
presto arderebbero, e a lui renderebbero pubblici onori.
Ma sempre aiuto, o Numi, voi date al crudele Pelíde, 40che pur, viscere umane non ha, non ha cuore nel petto
che si commuova: egli ha d’un leone l’istinto selvaggio,
che, come lo consiglia l’intrepido cuore e l’immane
forza, sovresse le greggi s’avventa, per farne suo pasto:
similemente, Achille pietà non ha piú, né ritegno 45che pei mortali è fonte di mali ed è fonte di beni.
Altri, sovente, persona piú cara perde’ d’un amico,
od un fratello nato da un grembo medesimo, o un figlio;
eppur, quando esso ha pianto, gemuto, si placa alla fine:
ché pazïente cuore concesser le Parche ai mortali;