Pagina:Imbriani - Dio ne scampi dagli Orsenigo, Roma, Sommaruga, 1883.djvu/134

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poter dire: L’ho fatta grossa! Me l’ho meritata! Ben mi stà! Niente affatto! la sventura, la rovina gli pioveva, senza sua colpa, sulle spalle!

E se quel poveruomo del Salmojraghi domandasse riparazione per le armi? Non c’è peggio de’ timidi, una volta, che piglian coraggio! Ne fanno uno stravizzo! Riescono il contrario, appunto, della Chiesa Romana, patiens quia aeterna! Veramente, lui Maurizio era di prima forza alla pistola; alla sciabola non ne parliamo neppure: pericolo, dunque, per lui, non ce n’era. Ma... lo ammazzerebbe o storpierebbe? Farlo cornuto e mazziato, (come suol dirsi a Napoli,) gli ripugnava. Non gli parea bello, non cavalleresco: anzi un miserabile abuso e codardo di superiorità fisica, che gli procaccerebbe rimorsi, per tutta la vita. Ma per dirlo, sempre, alla napoletanesca, non c’è peggio de le varrate de cecate; un’arme, non è, mai, tanto pericolosa, quanto in pugno a chi non sa, punto, adoperarla; e lui, Maurizio Della-Morte, potrebbe, arcibenissimo, toccarne da Gabrio Salmojraghi, invece di dargliene. Ora, morire o buscarne, per la Radegonda, gli sembrava, non dirò rincrescevole, ma tanto insulso! Ma se non gliene importava nulla, di lei! Quel giorno, che, pure, s’abbattè, la prima volta, a Milano, nella Salmojraghi, si sarebbe azzuffato, con chi gli avesse con-