Pagina:Imbriani - Dio ne scampi dagli Orsenigo, Roma, Sommaruga, 1883.djvu/224

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214 Dio ne scampi

fessore, le proprie sfiducie, i rimorsi, che ci travagliano.

Dopo un poco, la Chiarastella abbandonò il capo, sull’omero della compagna; e si sfogò, in lagrime, lunghe, calde, strazianti, frammiste di singulti compressi. La Radegonda la sostenne, senza muoversi: gli occhi di lei erano impietriti Si adattò, meglio, per sorreggere quel peso carissimo; ed, in quegli spasimi convulsi del pianto, rasciugò le lacrime, terse la schiuma, che s’affacciava sulle labbra. Quando la crisi fu superata e la povera vecchia si alzò, la infelice Salmojraghi-Orsenigo appoggiò le labbra, alla mano di lei, ma lievemente, timidamente, come chi si stima indegna. La Della-Morte-Parascandolo si curvò, sulla fronte della giovane; e, scartandone i capelli arruffati, v’impresse un lungo bacio materno. Trasalì, tutta, la Radegonda; e rimase prostrata. Minuti poi, la madre del suo Maurizio tornò, a lei, come se, solo in quell’istante, avesse percepite le parole, pronunziate un quarto d’ora prima; e, ricurvandosi verso la giacente, le prese le mani e la trasse su e le disse: - «Credi tu, che vi sia qualcuno incolpabile, al mondo?» - L’affettuoso tu scese blando, mite, carezzevole, al cuore della sventurata. «Credi tu, che vi sia chi possa credersi buono, al cospetto di Dio? e giudicar