Pagina:Imbriani - Dio ne scampi dagli Orsenigo, Roma, Sommaruga, 1883.djvu/227

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dagli Orsenigo. 217

Clotilduccia sua, quella cara creatura, che aveva rifiutato di mai più vedere, verso la quale si sottraeva, agli obblighi materni. Che non avrebbe dato, in quel punto, per essere, con lei, in istrada! per udirne la voce! per godere della sua letizia del balocco comperato! Quanto invidiava l’Almerinda, che poteva saziarsi di baciarla! A lei, madre, questo era tolto ed in eterno! E diede in pianto; e seguì, a lungo, con l’occhio bramoso, quella visione adorata. Ma piangeva, sommessamente.

Maurizio, che s’era ridesto, la chiamò. Ed essa, (riscuotendosi da’ pensieri dolorosi, che le facevano assalto, rimproverandosi la momentanea distrazione,) corse ad accudirlo.

— «Perchè piangi?» - le chiese il giovane.

— «Nulla. Ho il paradiso in cuore: ora, sei fuori pericolo.» -

— «Povera Radegonda! con quanto amore, mi assiste! E sì, che, ormai, sono un misero infermo, buono a nulla. Un moncherino! Addio carriera! E me ne andrò in tisico, con questo petto sfracassato! L’accudirmi, t’infelicita; vivi miserrima, per me. Hai rinunziato, a tutto, per una compagnia, che non può contribuire, alla tua felicità.» -

Ed ella, chinandosi, verso di lui, con gli occhi