Pagina:Imbriani - Dio ne scampi dagli Orsenigo, Roma, Sommaruga, 1883.djvu/26

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16 Dio ne scampi

maggior Comesichiama; e, finchè le altre conservavano l’amico, smetterlo sarebbe stato come uscire senza crinolino o senza borsa di capelli. Avrebbe, subito, dovuto surrogarlo; e la sua memoria le avrà, forse, suggerito quel distico:

     Homme pour homme et péché pour péché,
     Autant me vaut celui-ci que tout autre.

E poi, gusto, è vero, non ce ne provava: ohibò, gusto, lei, in tali cose! ma quelle tempeste interne, l’agitazione, gli scrupoli, erano contenuto di vita; e si tituba, sempre, ad emergere da una grande attività morale, per attuffarsi nell’apatia. La cessazione del travaglio ha troppa somiglianza con la morte. Il dolore è la forma più intensa di vita, è sovreccitazione: quindi, il ricerchiamo. Il veggo in me stesso: perchè, puta, ostinarmi a buttar bezzi in tabacco, quando sta in fatto, che il fumo sgradevolmente mi vellica il palato? Le papille della lingua e delle mucose circostanti si convellono; il naso si contrae; l’occhio lagrima; i nervi si ammaricano pel sapore e per l’odore; e, poscia, seguono cefalalgie, lunghe e crudeli. E, nondimeno, io mi ostino a fumare. Perchè mai? Per la voluttà implicita in ogni sensazione, ancorchè sgradita. Perchè piace il sentire, ancorchè rincresca la