Pagina:Invernizio - La trovatella di Milano, Barbini, Milano, 1889.djvu/70

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nell’altro, che l’aveva tradita, eppure amava sempre, come forse non l’aveva amato mai!

Una disperazione spaventosa assaliva la sua anima, il suo cuore sanguinava. Era stanca di vivere: uno scoraggiamento orribile l’accasciava.

La sua fidata cameriera la sorprese, mentre si dibatteva in una crisi violenta di nervi, lasciandosi sfuggire parole insensate, che mostravano il turbamento del suo cervello, lo spasimo del suo cuore.

— Signora, signora, per carità si calmi, — disse la cameriera con accento supplichevole, inginocchiandosi sul tappeto, vicino a lei.

— Ah! soffro tanto... non ne posso più, vorrei morire.

— Non dica così... ah! se potessi trovare un mezzo per consolarla... ma non so che volerle bene... offrirle la mia povera vita...

— Buona Clarina, sei sempre tu quella che mi rende la forza che sta per mancarmi: che Dio ti benedica.

Discorsero a lungo e quando la cameriera la lasciò, Adriana sembrava più calma. Ma era di una pallidezza cadaverica, i suoi occhi brillavano nelle orbite affossate, i capelli le cadevano in disordine sulle spalle.

Passò il giorno chiusa in camera. Suo marito si era allontanato dalla villa col suo domestico.

Scese la notte. Una soave tranquillità regnava nella natura: migliaia di stelle scintillavano nel cielo, i zeffiri scherzavano dolcemente tra le piante asportandone i profumi.

Adriana discese in giardino, e andò a sedersi