Pagina:Isernia - Istoria di Benevento II.djvu/42

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intanto che spiava tutte le occasioni per liberarsi di un suddito inquieto e bramoso di novità, per meglio assodare la sua potenza, maritò le varie sue figlie ad uomini assai potenti, del cui favore molto imprometteasi in una nuova Signoria, circondato com’era da palesi ed occulti nemici. Per le quali cose Radelghiso, vedendosi in odio al principe, al quale dava ombra la sua ambizione, e avvedendosi che non avrebbe potuto giammai bilanciarne la potenza, col consenso di Sicone, a cui non parve vero di levarselo dinanzi, si ridusse nella Badia Cassinense, ove, seguendo l’esempio della propria moglie, che non molto innanzi avea preso il velo nel monastero di S. Lorenzo, posto nel distretto di Consa, dopo lunga ed aspra penitenza vestì l’abito dei frati benedettini, e menò vita esemplare sino al termine dei suoi giorni.

In quel tempo i napoletani avevan deposto il duca Teodoro, intimo amico di Sicone, ed eletto in suo luogo Stefano, nepote al vescovo dello stesso nome.

Sicone, dopo di essersi associato il suo primo figlio Sicardo al principato, sotto colore di vendicare i torti di un principe amico, si accampò con poderoso esercito sotto le mura di Napoli. Ma dopo quattro mesi di vigorosa resistenza, per essere sopravvenuta la rigida stagione, tornò Sicone in Benevento, fiducioso di occuparla nella prossima primavera.

Infatti, entrato appena l’aprile, fu nuovamente su Napoli con un esercito maggiore della prima volta, e con mangani e altre macchine da guerra vi si affaticò intorno lungamente, senza che gli venisse fatto di espugnarla, benchè ne predasse i dintorni. Infine disperando di poterla acquistare per forza d’armi, finse di piegarsi ad un accordo e spedì con tale pretesto in Napoli con preziosi doni i suoi ambasciadori, commettendo loro di sedurre i maggiorenti della città, ed istigarli a uccidere il duca. Nè punto gli fallì il successo, poichè avendo i messi corrotti con doni molti fra i principali cittadini, mentre Stefano, ignaro della congiura, era inteso a soscrivere il falso trattato di pace, fu spento perfidamente dinanzi alla chiesa Stefania, detta poi