Pagina:Italia. Orazione detta la sera del 13 marzo del 1917 al Teatro Adriano in Roma.djvu/14

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spontaneamente decidere del bene e del male, commossi dall’armonia del creato intorno a loro, furono sempre buoni e giusti.

In tal modo noi vediamo già i primi popoli considerare la vita come una bella vanità che non va disprezzata, ma che è necessario vivere col maggiore impegno, senza credere però che da lei venga la maggior consolazione. Così le statue funerarie etrusche c’insegnano il vero, raffigurando con arte somma il morto che allontana da sè la coppa, quasi dica, porgendola a chi incomincia a vivere: — Ho bevuto: ora bevi tu. — Oppure la donna che allontana languidamente ma placidamente composta, lo specchio da sè, come per dire: — Eccoti lo specchio: io mi son vista: ero un’ illusione!

Questo fondamento naturale di dolore è sostanzialmente proprio dell’anima italiana ed è nato, e fu certo così anche negli uomini primi, nei padri: è nato dal sentimento della propria piccolezza che prende il cuore di chi contempla il cielo, il mare, i monti da questa terra del sacro incanto.

Di qui la necessità del perdono, di qui le fonti della giustizia.

Di questa luce soave e tersa noi troveremo illuminato ogni atto spontaneo del popolo italico: vedremo questa mistica essenza in ogni maraviglia maggiore del genio, in ogni impeto nazionale: soffocata più volte, è risorta anche dopo secoli: contrassegno mirabile di rinascita e di vittoria.

Da questo sentimento del dolore, che è aristocrazia della vita, è nata la poesia di Virgilio, di Dante e del