Pagina:Italia. Orazione detta la sera del 13 marzo del 1917 al Teatro Adriano in Roma.djvu/18

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le maraviglie di questo paradiso: e così accendevano quella bramosia che condusse le orde alla distruzione di tanta grandezza.

Mentre Roma si riposava sul suo letto d’oro modellato con mirabile artificio, i barbari nelle file dell’esercito cooperavano alla rovina, e le porte delle Alpi furono ancora spalancate alla bramosia bestiale di godere senza diritto le dolcezze di un impero che era giunto al sommo.


Il mostro barbaro strinse la coppa del piacere e s'inebriò: e l’Italia fu per secoli la stanza di una sacrilega orgia.

Scomparsa Roma, ovunque è confusione e spavento. Centinaia di stirpi si urtano, si fondono, si amalgamano. Spenta la luce della civiltà tutta l’Europa piomba in un buio mai conosciuto.

Finchè il barbaro restò fedele al suo istinto non fece che godere della distruzione di quella bellezza che disperatamente lo dominava: il che costituisce un tema della sua tragedia.

Quando poi la romanità sembra uccisa, egli concepisce il proposito di sostituirla; si crede l’erede; e s’illude, rimanendo Ostrogoto o Longobardo, potere ricomporre l’impero.

Nasce allora il più triste tema della sua tragedia: la bramosia del dominio. Dominio senza amore, senza sostanza di vero bene e di vera civiltà, non consacrato mai dal popolo italiano non ostanti le mille